Gioca la carta dell’ironia, ma si vede che è contenta. «Come festeggiamo? Vediamo un po’ se c’è qualcosa con cui brindare», sorride avvolta in una vestaglia di velluto blu elettrico, i piedini nudi accavallati sul divano al centro del salotto Liberty.
Chi le ha dato la notizia?
«Mia figlia Maucì. L’hanno chiamata quelli dell’Academy. Sono onorata, un po’ sorpresa e anche molto grata. Lo prendo volentieri».
Andrà a ritirarlo?
«Certo».
Come spiega il grande amore che Hollywood ha sempre avuto per lei?
«Non c’è una spiegazione per il successo, come non c’è per l’insuccesso. Ho cercato sempre di fare bei film, e i miei film sono piaciuti in America. Ne ho anche girato qualcuno lì, anche se a volte l’America mi è stata un po’ larga. Sono sempre andata dove mi davano la possibilità di realizzarne. Le posso dire questo: ho sempre avuto un certo gusto per il grottesco che ho proposto poi nel mio cinema: distorcere la realtà è sempre stato il mio modo di raccontarla».
A chi dedicherà l’Oscar?
«A mia figlia. E a mio marito, Enrico Job. Non solo per amore, ma perché la sua visione e la sua creatività sono stati fondamentali per il mio cinema. Devo quasi tutto a lui, quindi il premio è anche suo. Mi piace anche ricordare attori che per me sono stati fondamentali, Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, con cui ho condiviso film che hanno avuto successo nel mondo».
Con Giannini nel ’77 volaste a Hollywood per le quattro candidature a "Pasqualino Settebellezze": regia, film straniero, sceneggiatura e attore. Se dovesse dare l’Oscar a uno dei suoi film sceglierebbe quello?
«Forse sì, anche se li amo tutti. Ricordo con affetto Don Rugoff, il distributore americano di Pasqualino e che è diventato un caro amico».
Quante volte nel mondo l’hanno presentata come "la prima regista candidata all’Oscar" con "Pasqualino Settebellezze"?
«Migliaia. Ma ogni volta ero ugualmente felice».
Quale collega incontrerà volentieri a Hollywood?
«Martin Scorsese, un amico da tanti anni, che ha sempre sostenuto il mio lavoro. Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, Jodie Foster...».
La Foster dice che grazie al suo esempio, ai suoi film, ha capito che anche lei poteva tentare la regia.
«Mi chiedono spesso cosa consiglierei a una giovane che vuole fare questo mestiere. Ho un’unica risposta: provare a fare bei film. Non lasciarsi scoraggiare. E portare con sé quel pizzico di incoscienza che mi ha sempre aiutato e ho sempre coltivato».
Contenta di essere premiata in una Hollywood in cui la posizione delle donne sta cambiando?
«Certo che sì».
Cosa le ha detto Leonardo DiCaprio quando è venuto a salutarla all’anteprima a Cannes di "Pasqualino Settebellezze" restaurato?
«Poche parole, ma sembrava sincero. Un ragazzo gentile e molto alto. Mi ha detto: grazie per quello che ha dato al cinema, è un onore conoscerla».
Quando andaste alla cerimonia nel 1977 lei fece impazzire gli organizzatori dell’Academy.
«No, perché?».
Prima si mise a urlare "mamma mia" vedendo la folla di paparazzi sul tappeto rosso.
«Da questo punto di vista non prendo impegni neanche stavolta».
Poi fece sedere al suo posto la sua amica Lalla Kezich, che inquadrarono scambiandola per lei nel momento cruciale.
«Non male come colpo di scena eh?».
E poi saltò il ricevimento per tornare a San Francisco.
«Perché stavo girando un film, La fine del mondo nel nostro solito letto…
Avevo il set il giorno dopo.
Prendemmo un charter, senza toccare cibo. Ma poi fu bellissimo, con Tullio, Lalla e Giancarlo Giannini, aspettare l’alba mangiando a morsi un salame che avevamo trovano in albergo. Con una splendida vista sul Golden gate…».
Ha già pensato a cosa indosserà per la serata?
«Del vestito non ho idea, ma di sicuro avrò i miei occhiali bianchi di sempre».
Lei apre la sua biografia con la frase del finale tagliato col treno bianco di "Otto e mezzo" : "La mia vita è una festa, viviamola insieme". Si sta rivelando profetica…
«In certi momenti più di altri: questo è uno di quelli. Ma io ho progetti per i prossimi vent’anni, speriamo di reggere...».