Corriere della Sera, 4 giugno 2019
Sul caso di Greta che ha lasciato la scuola
«È stata una decisione difficile ma andava presa adesso». Greta Thunberg ha annunciato l’ultima scelta drastica della sua giovane vita. Dopo quarantuno venerdì consecutivi lontani da scuola, in piazza con i suoi Skolstrejk för klimatet, gli scioperi per il clima che hanno contagiato le coscienze dei ragazzi di tutto il mondo, la piccola attivista svedese ha fatto sapere che a scuola non ci tornerà più. Almeno per un po’: si prenderà un sabbatsår, un anno sabbatico, ora che sta per concludere il ciclo unico d’istruzione obbligatoria che in Svezia comincia all’età di 7 anni e finisce a 16, invece che iscriversi subito al triennio del liceo come (quasi) tutti i suoi coetanei.
Dietro il «ritiro» c’è un motivo ideologico che è insieme molto pratico. Per portare avanti la sua missione ambientalista dovrà aumentare l’impegno e spingersi più in là. Anche fisicamente: negli Stati Uniti, a New York, dove a settembre parteciperà a un summit straordinario sul clima al Palazzo di vetro dell’Onu, e poi in Cile tre mesi dopo, per la conferenza Cop25 a Santiago. Ma «dal momento che non prendo aerei», perché troppo inquinanti, «dovrò attraversare l’Atlantico in un altro modo: non so ancora come – ha spiegato in un’intervista al quotidiano svedese Dagens Nyheter – ma troverò una maniera». Qualunque sia, richiederà settimane intere: un’assenza troppo lunga per una studentessa a cui non basterebbe più un piano di studi su misura (come quello di quest’anno, concordato con l’istituto).
Intorno all’ultima mossa dell’attivista con le trecce si è presto scatenato l’ennesimo dibattito: non farebbe meglio – per sé e per il suo obiettivo – a proseguire gli studi? «Anche qui – racconta al Corriere Dario Tota, professore italo-svedese di un liceo di Stoccolma – ci sono due fazioni molto nette. Una è fatta di gente che parla l’inglese meno bene di lei e le dice di andare a scuola». Greta l’ha saltata una volta alla settimana, per gridare ai politici che «non c’è un pianeta B», e le sue assenze hanno offerto un’arma ai molti haters. La sua partita invece «andrebbe giocata dentro la scuola, che purtroppo – è l’autocritica del preside del liceo classico Carducci di Milano, Andrea Di Mario – si è dimenticata dell’ambiente e non riesce a rispondere agli stimoli dei ragazzi». Ma se fosse una sua studentessa, direbbe a Greta che ha ragione? «Chiamerei i genitori e le direi di rimanere, di costruire insieme un percorso che coinvolga altri studenti». Non funzionerebbe: Greta ha altri piani. Magari anche più importanti della scuola. «Sì, ma in realtà la sua è un’esperienza formativa: sta facendo il miglior orientamento possibile per il suo futuro». E, chissà, per il nostro.
Il sistema svedese
In Svezia la scuola dell’obbligo comincia a 7 anni e finisce a 16 Poi il triennio del liceo
Se invece quell’autoesilio fosse un errore? Per Raffaele Mantegazza, professore dell’università Bicocca, è «una piccola sconfitta: sarà una perdita per lei e per i compagni. Dovrebbe rimanere: le darebbe più strumenti culturali, più sostanza ai suoi ragionamenti. La presenza, anche fisica, del suo spirito critico dentro l’istituzione scolastica, e non solo sui social, è fondamentale per contagiare altri giovani». Forse non quanto portare quel messaggio davanti ai politici più potenti del pianeta, fissarli negli occhi, convincerli che è il momento di cambiare tutto, o nel 2030 sarà già troppo tardi.
Ora per Greta, tra le 100 persone più influenti al mondo per il magazine Time, viene il difficile: una vita sotto i riflettori e nessuna tregua, nemmeno nell’unico posto dove poteva essere di nuovo una 16enne qualunque. «Nel “fenomeno Greta” – spiega amaro il pedagogista Daniele Novara – c’è tutta la crisi del mondo adulto, che non è riuscito a esprimere una figura altrettanto potente per una battaglia così vitale. Ma è un modello perdente: troppo precoce e mediatico. Fossi in chi le sta accanto mi fermerei qua, o per lei rischia di diventare un boomerang psicologico. Non va a scuola? Meglio: almeno un peso in meno».