La Stampa, 4 giugno 2019
Studiare alla vecchia maniera è meglio
Studiare alla vecchia maniera funziona di più. Utilizzare Twitter in classe, invece, peggiora l’apprendimento tra il 25 e il 40%. Sono questi i risultati della ricerca, per altro sorprendente, condotta dall’Università Cattolica di Milano con il sostegno della Fondazione Cariplo. Vasto il campione su cui è stata condotta la ricerca, 1500 studenti di 74 scuole superiori di tutta Italia, di tutte le classi, del Nord e del Sud, maschi e femmine, italiani e italiani di seconda generazione senza distinzione. Nell’anno scolastico 2016-2017 a questo campione di studenti è stato chiesto di analizzare uno dei libri fondamentali della letteratura italiana, “Il fu Mattia Pascal” del premio Nobel Luigi Pirandello.
Nuova didattica
Un testo già adottato da TwL, organizzazione no profit che da anni favorisce l’introduzione di questo social come nuovo elemento didattico e che è stata di spunto per questa ricerca finita già sulla prima pagina di Washington Post e New York Times. A metà degli studenti è stato chiesto di leggere i primi 10 capitoli del libro con metodo tradizionale. All’altra metà è stato chiesto invece di partecipare a una community di discussione sullo stesso testo via Twitter. Alla fine è stato chiesto a tutti gli studenti di compilare un questionario con 57 domande a risposte multiple in 50 minuti, per valutare il livello di comprensione, memorizzazione e interpretazione del romanzo.
I risultati sono stati clamorosi, ammette Gian Paolo Barbetta, docente di Politica Economica alla facoltà di Scienze Politiche della Cattolica e coordinatore della ricerca: «Pensavamo che l’utilizzo di Twitter avrebbe favorito la comprensione, visto che costringe gli studenti a condensare in pochi caratteri i propri pensieri, a misurarsi con due diversi linguaggi e alla fine a lavorare in gruppo». E invece no. Chi ha studiato con il nuovo sistema all’atto pratico è stato penalizzato con un significativamente più basso livello di comprensione: «Il dato è omogeneo. Penalizza leggermente di più gli studenti con i voti migliori. A incidere su questo risultato sicuramente il fatto che Twitter non è il social media più usato dagli studenti. ma c’è sicuramente anche altro. Chi ha lavorato con Twitter deve aver pensato che leggere tutti quei commenti era sufficiente e non era necessario leggere il libro con attenzione. Invece i libri vanno letti, anche se si usano i social. Non si possono adottare quelle che nella ricerca chiamiamo scorciatoie».
Le scorciatoie
Scorciatoie note da sempre negli istituti superiori come all’università. Il fenomeno di chi pensa di aver studiato di più anche perchè ha fatto fotocopie dei libri d’esame è noto. Spiega il professor Gian Paolo Barbetta: «Anche i miei studenti a volte si limitano a guardare le slide che accompagnano i testi. Ma è come se leggessero solo l’indice. Risultati simili ci sono stati anche durante una ricerca che valutava il differente livello di apprendimento tra chi studiava in classe col computer e chi no». In una società sempre più tecnologica, dove le connessioni sono alla base della vita di tutti i giorni e in tutti i campi, ci sarebbe quasi da preoccuparsi. Larghe fasce della popolazione non sa più far di conto da quando ci sono le calcolatrici elettroniche. Che possa accadere qualcosa di simile anche con la letteratura e lo studio non può che far riflettere prima di tutto gli studiosi. Ma il docente della Università Cattolica che ha coordinato la ricerca “Facciamo un tweet di nuovo?” non è troppo allarmato: «Non sono pessimista per il futuro della nostra società di fronte ai nuovi social media. Ma credo che per imparare a leggere non c’è che leggere. I nuovi strumenti di cui tutti ci stiamo dotando sono appunto uno strumento che ci può aiutare, ma non si possono saltare certi passaggi o prendere facili scorciatoie».