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 2019  giugno 04 Martedì calendario

La rivolta dei tacchi alti

Truffaut c’aveva costruito un’antropologia del mondo su quei tacchi alti che disegnavano le gambe delle donne, misura di tutte le cose. «Non so chi li abbia inventati ma ha fatto un gran favore alle donne», ammiccava Marilyn Monroe; «A me piacciono i tacchi alti, lo so che è sessista, ma significa che le ragazze non possono scappare da me», scherzò una volta David Bailey, leggenda della fotografia di moda. Ma quello era cinema, star system, non una giornata di lavoro in piedi nella reception di un albergo, in volo sull’Oceano o persino nella hall di una società di pompe funebri. E le ragazze giapponesi hanno deciso di ribellarsi. In quasi 20mila hanno firmato la petizione lanciata dalla scrittrice freelance Yumi Ishikawa contro il dress code di molte aziende giapponesi che di fatto impongono alle ragazze di indossare i tacchi alti per essere assunte e lavorare. Il movimento si chiama KuToo, citazione del più noto e diffuso Me-Too e crasi di due parole giapponesi “kutsu” (scarpe) e “kutsuu” (dolore), ed è nato all’inizio di quest’anno quando Ishikawa ha pubblicato un tweet di protesta contro i tacchi alti che ha avuto migliaia di condivisioni e ha spinto centinaia di altre donne a condividere le foto dei loro piedi feriti dalle scarpe alte. Una ribellione simbolica che è diventata un fatto politico. Ishikawa ieri ha incontrato alcuni funzionari del ministero del Lavoro e si aspetta che in qualche modo il governo accolga le richieste del #KuToo: «L’introduzione di una legge che vieti ai datori di lavoro di costringere le donne a indossare tacchi alti come discriminazione o molestia sessuale». Non è la prima volta che il mondo femminile si rivolta contro i tacchi d’obbligo a lavoro: nel 2017 una petizione simile fu firmata da più di 100mila persone nel Regno Unito quando la receptionist Nicola Thorp fu licenziata perché indossava scarpe basse. La faccenda finì sul tavolo del Parlamento, che dopo un’indagine sui codici di abbigliamento nelle aziende, scoprì che l’obbligo dei tacchi alti vigeva di fatto anche per lavori che richiedevano fare le scale, trasportare pesi, percorrere lunghe distanze. In Canada, nella British Colombia, dal 2017 le aziende non possono obbligare le donne a indossare tacchi alti: è considerata una pratica “sessista e discriminatoria”. Le femministe applaudono, il mercato segue: già due anni fa, la rivista Business of Fashion raccontava come per ragioni differenti – la moda che cambia, le battaglie di genere – i tacchi alti non se la passassero molto bene ed invece era tempo di un ritorno ai più comodi tacchi rocchetto, in voga negli Anni ‘50 e ‘60. Eppure la vertigine continua a piacere: il mercato globale degli high heels cresce del 3,8% annuo, nel 2024 varrà 42 miliardi di dollari. Le regioni dove si vendono di più? Stati Uniti, Europa e, ovviamente, Giappone.