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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

Intervista a Sara Gama, capitana della nazionale di calcio femminile

È la vetrina delle stelle globali sponsorizzate Nike (le americane Alex Morgan e Carli Lloyd), delle icone gay (Megan Rapinoe) e delle veterane (la brasiliana Marta, 33 anni). Ma è anche il ballo delle 4 debuttanti: Cile, Scozia, Camerun e Giamaica, la banda delle reggae girl nel girone dell’Italia che in Francia sono arrivare grazie al crowfounding promosso da Cedella Marley, figlia del mitico Bob. Il Mondiale che scatta venerdì a Parigi con Francia-Corea del Sud è l’8ª edizione del massimo torneo delle donne. Solo. Giappone e Usa (3 stelle sul petto) dominano dal 2011, la Germania tenta il tris, la Francia prova a imitare Mbappé & Co. un anno dopo, l’Italia spera e sogna. 24 nazionali, 52 partite. Altro che il gigantismo dei maschi. In Francia vedremo un calcio più umano. E 90’ di gioco effettivo: le donne non simulano.
Una torta, gli applausi dei viaggiatori a Fiumicino, persino l’inno. Con il volo da Roma a Bruxelles, e poi in bus fino a Valenciennes, ieri è cominciata l’avventura della Nazionale femminile al Mondiale di Francia. L’attenzione mediatica, mai così alta, l’entusiasmo e l’ottimismo da domenica (debutto contro l’Australia) andranno sostenuti dai risultati. Smesso il tailleur Armani, la piccola storia del calcio donne si farà in parastinchi. Sara Gama, 30 anni, baluardo juventino della difesa, è il capitano dell’Italia di Milena Bertolini.
Dopo la Barbie, è diventata una figurina dell’album Panini: quanto è stato importante entrare nel costume del Paese, per farsi conoscere, sulla strada del Mondiale?
«Tanto. Bambole e figurine fanno parte dell’immaginario dei bambini. Anch’io facevo l’album da piccola: cartoni animati, animali, cose così… Avere modelli di riferimento, in una società basata sull’immagine, è fondamentale. E il nostro movimento, oggi, a parte me, ne ha moltissimi positivi da offrire».
Quali erano i suoi, a Trieste, da piccola?
«Nessun idolo né poster in cameretta. Tifavo Juve. Mi sono sempre piaciuti i giocatori che danno tutto sul campo».
E oggi, che modelli ha?
«Sono curiosa: ascolto, chiedo, m’informo. Mi piace chi ha sostanza, chi ha qualcosa da dire».
Adesso, però, è arrivato il momento dei gol.
«Dopo vent’anni di assenza dal Mondiale, finalmente si va in campo. Se le bambine ci vedono in tv, possono imitarci. Per loro siamo pioniere».
Domenica a Valenciennes la sfida con l’Australia che indirizzerà il girone dell’Italia: come s’immagina il Mondiale?
«Conosco la grandeur francese: ho giocato a Parigi due stagioni e sono in contatto con le mie ex compagne del Paris Saint Germain. Mi aspetto gli stadi pieni e una grande fibrillazione per un calcio in forte crescita».
Sarà un Mondiale più tecnico o fisico?
«Sarà il Mondiale del salto di qualità, l’evoluzione impatterà entrambi gli aspetti».
Siamo attrezzate, noi ragazze italiane, a reggere l’urto?
«Stiamo crescendo: il gap con Usa, Germania, Giappone piano piano si riduce. Punteremo sulle nostre caratteristiche: tattica e tecnica. Ma anche fisicamente siamo cambiate da quando ci alleniamo in club come Juve, Milan, Roma, Fiorentina, che ci mettono a disposizione strutture all’altezza. Era il nostro tallone d’Achille. Di fatto, siamo professioniste come gli uomini».
Di fatto però non ancora di status.
«Basterebbe una delibera del Consiglio della Figc. Qualche anno fa, quando il campionato era giocato da società dilettantistiche, avrebbe voluto dire ammazzare il movimento. Oggi, con l’entrata dei club maschili di serie A, la realtà del calcio donne in Italia è diversa, ma il professionismo avrebbe comunque un grosso impatto sul sistema calcio, non è facile: nessuno vuole spendere il doppio per le calciatrici, la delibera dovrà essere associata a grossi sgravi per il lavoro femminile».
Bambola e figurina
Diventare una bambola e una figurina è stato importante, sono cose che fanno crescere
La legge ’91 dell’81 è sessista?
«È una legge fatta in fretta e furia, non più al passo con i tempi. È inadeguata a prescindere dalla questione di genere».
Cosa le piace fare nel tempo libero, Sara?
«Di tempo libero, tra Juve e Nazionale, non ne ho quasi più. Una cena con gli amici, un museo (ho visitato quello di Superga), una mostra fotografica, la mia passione… Mi piacciono le cose semplici».
Casa dov’è?
«Casa è dove gioco. Quindi Torino».
Trieste, dove è nata, cos’è?
«Là c’è mamma. Ormai ci torno solo a Natale».
E con il Congo, il paese di suo padre, che relazione ha?
«Nessuna».
C’è mai stata?
«Ho viaggiato ovunque, mai in Africa. E non so se succederà».

Ci tolga una curiosità: CR7, da vicino, com’è?
«L’ho visto solo due volte: alla festa di Natale e allo Stadium per quella dello scudetto. Ronaldo è un modello di comportamento per tutte noi, un ragazzo normalissimo che non chiede alcun trattamento preferenziale».
Buon Mondiale, capitano. Oltre gli applausi, si aspetta commenti tipo: brave, però il calcio maschile è tutta un’altra cosa?
«Me li aspetto e non posso negare che sia vero. Il Mondiale è l’occasione per approcciarsi al nostro calcio con mente aperta: non ci si può aspettare la stessa fisicità degli uomini. A me sembra che la gente si stia appassionando, gli ascolti del campionato lo dimostrano. Non faccio promesse, dico solo: guardateci, imparate a conoscerci. E fidatevi di noi».