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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

Estratto dall’introduzione del libro ’Roma. Storie della mia città’ di Walter Veltroni

«Roma è ingovernabile». Non ci ho mai creduto.
È una città enorme, vero. Non mi stanco mai di ricordare che la superficie amministrata, in chilometri quadri, è superiore a quelle di Parigi, Berlino, Bruxelles e Stoccolma messe assieme.
È una città con quasi tre milioni di abitanti, vero. Roma è, in termini di popolazione, dieci volte l’Islanda ed è più popolosa della Lettonia, della Slovenia e del Qatar.
È una città capitale, sede delle istituzioni italiane e di quelle dello Stato Vaticano, vero.
È una città cresciuta a caso, strappata e vilipesa, stravolta e confusa dalla speculazione edilizia degli anni Cinquanta e Sessanta, dall’abusivismo sfrenato, dall’assenza di un Piano regolatore, vero.
Ma è una città meravigliosa, unica al mondo. Certamente per le ragioni che ciascuno, chiudendo gli occhi, può desumere dalla propria memoria della bellezza antica e moderna della città.
Ma, sfido lo stereotipo, lo è in primo luogo per la meraviglia della sua gente. Ho troppa orgogliosa fiducia nel valore della politica per non pensare che una comunità «sente» se è parte di un progetto generale che la riguarda, che la coinvolge, che la fa essere protagonista. Una città è un corpo vivo, non un insieme di mattoni e asfalto, non un’entità amorfa e fredda. (...)
Fare il sindaco di Roma è uno dei lavori più fantastici e infernali che, chi ha passione civile, possa svolgere. Governi una città-Stato ma ogni problema, anche il più piccolo, ti riguarda. Ovunque tu vada, bar o quartiere, qualcuno ha qualcosa da segnalarti o da chiedere.
Quando, per sette anni, l’ho fatto, ho capito come Petroselli sia potuto morire di lavoro.
Dei giorni, non ho vergogna a dirlo, piangevo dalla fatica. Quando, la sera alle nove, scoprivo di avere ancora cinque cose da fare e che le prime ore di riposo le avrei avute tre settimane dopo, sentivo che non era scontato farcela. Sono finito due volte in ospedale, una rischiando. Niente di eroico, sia chiaro. Ma siccome si è convinti che il potere corrisponda a privilegi e che chi fa politica in realtà si giri i pollici a ritmo regolare, mi verrebbe voglia di invocare la testimonianza dei cronisti che mi seguivano o dei fogli della mia agenda. E lo stesso è per chi – in ogni parte d’Italia, in Comuni grandi o piccoli – svolge la funzione definita non a caso, in modo corretto e poetico, di «primo cittadino». (...)