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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

Giulia Bongiorno: «Serve un test psicologico per i magistrati»

Giulia Bongiorno, avvocato, ministro per la pubblica amministrazione, è nata a Palermo (Sicilia).
Nel caos post-elettorale che agita il governo – per oggi sono attese le esternazioni del premier Conte sul futuro dell’esecutivo e sulle sue condizioni per continuare a guidarlo – c’è un ministro che continua imperturbabile il proprio lavoro, tenendosi a distanza debita dai giochi della politica. È forse l’avvocato più famoso d’Italia, Giulia Bongiorno, palermitana, da un anno parlamentare leghista. «Quando mi sono avvicinata al partito di Salvini» racconta «molti erano esterrefatti e dicevano che una palermitana non (...) segue dalla prima pietro senaldi (...) sarebbe stata ben accolta nella Lega. Oggi la Lega a Palermo ha ottenuto il 18%, e sì che siamo gente piuttosto diffidente: Matteo è riuscito nella complicata operazione di unire l’Italia, partendo dal Carroccio di Bossi, non era facile». Lei è praticante e va in chiesa quasi tutti i giorni, l’ha aiutato il rosario? «Non condivido gli attacchi portati a Salvini da una certa parte del mondo cattolico. La Lega è custode di molti valori comuni alla Chiesa e sarebbe un peccato che i due mondi si allontanassero sulla base di valutazioni superficiali o, peggio, politiche. Mostrare il rosario fa parte del modo di essere di Salvini, che utilizza dei simboli per semplificare la comunicazione. Ho trovato sagge le parole del segretario di Stato Vaticano, Parolin, che ha invitato al dialogo con la Lega». Ma il punto di scontro con la Chiesa è sull’immigrazione... «Salvini non è contrario all’integrazione, ma all’immigrazione irregolare. Ci sono molti punti di contatto tra la sua visione e quella di ampie fasce del mondo cattolico». La sinistra però usa certi attacchi del mondo cattolico per dipingere Matteo come una sorta di anti-Papa fascista... «Quando vinci te ne dicono di tutti i colori. Spesso chi attacca Salvini non sta neppure a sentire quel che dice. Lui non se ne cura e sostiene che, più lo contestano, più vince. Io al suo posto sarei sfiancata, ma i fatti gli stanno dando ragione». Come si spiega il boom elettorale della Lega, ministro? «È la prova che i cittadini chiedono soprattutto di essere ben amministrati, che votano giudicando non il passato ma il presente e pensando al futuro. Gli ultimi voti premiano il modello Salvini e il modello Lega: durante quest’anno ho incontrato centinaia di sindaci, anche di piccoli comuni, tutti bravissimi, lavoratori instancabili che conoscono e curano il territorio, capaci di fare rete e aiutarsi tra loro. Con punte altissime di efficienza della Pubblica Amministrazione nei loro Comuni». Giusto, parliamo del suo dicastero: anche lei contribuisce ad aumentare la spesa pubblica? «Erano dieci anni che nella PA si pensava solo a tagliare e a risparmiare, io ho sbloccato le assunzioni, ora per ogni dipendente che va in pensione uno viene assunto e in più è previsto un fondo per ingressi straordinari: 130 milioni per il 2019, 320 per il 2020 e 420 per il 2021». E noi paghiamo... «È un investimento necessario. Da avvocato so bene che molti imprenditori stranieri non investono in Italia per via della paralisi della giustizia: una delle cause principali è la carenza di personale e di magistrati. Possiamo rivoluzionare le norme del processo, ma se poi manca chi deve ordinare i fascicoli o il personale va via alle due, le udienze vengono fissate di anno in anno. Vale lo stesso per la sanità, la scuola e la sicurezza. Per far girare l’economia, la PA deve funzionare». A parte le assunzioni, ha altre idee? «Le assunzioni non vanno disprezzate. Ho previsto anche l’assunzione di esperti in digitale, in semplificazione, tecnici, ingegneri e competenti nell’impiego di fondi strutturali dell’Ue, risorse che l’Italia perde ogni anno perché non abbiamo – per l’appunto – personale specializzato nell’utilizzarli. Un importante cambiamento, comunque, avverrà con l’introduzione del corso di laurea in Pubblica amministrazione che sto mettendo a punto con Bussetti e Guidesi. A diciott’anni, dopo il diploma, si partecipa a un concorso e se si vince non solo si viene ammessi al corso di laurea ma si ha la certezza, poi, di entrare nella PA: cosi assumiamo solo giovani già formati». Che materie farà studiare? «Programmazione e controllo delle PA, management, digitalizzazione, diritto, lingue, materie tecniche, progettazione sui fondi strutturali». Immagino tempi biblici... «Entro giugno daremo la tempistica. Intanto, i concorsi saranno sprint: correzione automatizzata delle prove d’esame e pensionati reclutati per fare gli esaminatori». Avremo l’impiegato del catasto laureato? «No, ma giovani preparati che entrano nella PA a 24 anni, anziché a 30 o a 35 come oggi». In settimana in aula diventa legge il disegno concretezza: niente più furbetti del cartellino? «Veramente io quelli li chiamo truffatori, perché tradiscono i colleghi e lo Stato. Sì, basta cartellino, introdurremo il controllo biometrico delle impronte digitali, dopo aver vinto una lunga lotta contro certe degenerazioni interpretative della legge che tutela la privacy». È contro la tutela della privacy? «No, ma ritengo l’interesse della collettività ad uno Stato ben gestito superiore a quello del dipendente pubblico a non far conoscere le proprie impronte. In ogni caso, abbiamo superato il problema trasformando le impronte in codici alfanumerici. Così possiamo sapere se una persona è presente senza violare il segreto sulle linee del suo indice destro». A proposito di macchina dello Stato: da ministro e avvocato di lungo corso, cosa pensa del derby in corso in magistratura a colpi d’inchieste, con sullo sfondo l’assegnazione della prestigiosa e potentissima poltrona di procuratore capo di Roma? «Le rispondo senza entrare nel merito di torti e ragioni e rifuggendo dalla tifoseria esibita in questi giorni dalla stampa. La vicenda è grave anche per l’effetto che ha sui cittadini, specie su chi in passato è stato indagato dai magistrati coinvolti. Chi viene processato o condannato deve avere la certezza della correttezza assoluta di chi decide sulla sua libertà o sul suo patrimonio. Certi veleni inevitabilmente minano la fiducia nella magistratura». Salvini ha detto che vuole riformare la giustizia... «Sono d’accordo, e aspetto con ansia di vedere il progetto del ministro Alfonso Bonafede. Secondo me non possiamo prescindere da una riforma del Csm – l’organo di autogoverno della magistratura – e da un ripensamento dei criteri d’accesso al terzo potere dello Stato. Il magistrato dovrebbe sempre essere imparziale e super partes. Si figuri che io non ho fatto il giudice – come mi consigliava mio nonno, pensando che così avrei avuto “i pomeriggi liberi” – perché non mi sentivo all’altezza. Il magistrato è un sacerdote, assolve e condanna, io non avrei mai potuto: sono sempre piena di dubbi». In che modo suggerisce di cambiare le regole d’accesso alla magistratura? «Ci vuole anche una verifica psicoattitudinale: non può diventare giudice solo chi è più bravo degli altri a imparare a memoria i codici e la giurisprudenza, sono indispensabili anche doti caratteriali di equilibrio e buon senso. Poi, una volta superato l’esame, serve una formazione accurata e completa e se, vinto il concorso, il tirocinio va male, dev’essere inibita ogni possibilità di accesso alla magistratura». E la riforma del Csm? «È da rivedere il sistema d’elezione, la situazione attuale crea patologie. Io non sono contro la libertà di pensiero, e non mi scandalizza che nel Csm ci siano correnti; ma bisogna evitare la politicizzazione dell’organo e gli scontri tra fazioni, magari pensando a un sorteggio tra una rosa di nomi indicati dalla politica e dalla categoria». Salvini nei giorni scorsi ha detto che il reato di abuso d’ufficio andrebbe eliminato perché paralizza le amministrazioni... «Il sistema è dominato dalla burocrazia e da un’ipertrofia di norme, spesso sindaci o funzionari restano inerti per non rischiare. Ma le dirò anche che, in 25 anni di avvocatura, ho difeso centinaia di persone con questa contestazione ma non ricordo un solo processo finito con condanna definitiva». Davvero? «Sì, perché per contestare l’ipotesi di abuso d’ufficio ci si accontenta spesso di una condotta che violi le norme, ma poi, quando si apre il processo, si scopre che mancano sempre gli ulteriori requisiti previsti dalla legge: una volta manca il dolo, un’altra l’ingiusto arricchimento...». Le brucia non aver salvato i sottosegretari Rixi e Siri? «Io sono garantista, e garantismo significa credere che si è colpevoli solo dopo il terzo grado di giudizio. Sono comunque due casi diversi. La Severino impone le dimissioni solo dopo la condanna definitiva, ma dal momento che il contratto di governo le prevede dopo il primo grado, Rixi ha scelto di ritirarsi per tener fede al patto. Siri però non è condannato, e aveva chiesto due settimane di tempo per chiarire o lasciare. Non attendere quei 15 giorni mi è sembrato incomprensibile e ingiusto». È sempre dell’opinione che l’abolizione della prescrizione voluta dai M5S sia una bomba atomica? «Se il processo penale non viene abbreviato e ancorato a tempi certi, sì. Senza la prescrizione si rischia di avere cittadini imputati a vita. Ho visto gente che, dopo aver rinunciato alla prescrizione, non ha più ottenuto la fissazione delle udienze perché il suo processo non era più considerato a rischio».