il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2019
Carlo Salvemini. Il sindaco appena rieletto di Lecce analizza gli errori di un partito (una volta il suo) che ha perso credibilità
Carlo Salvemini, sindaco di Lecce, è nato a Lecce.
“La sinistra è senza cuore. E io ho le prove.
Questo è un processo al sentimento.
“Infatti dovremo applicarci per far tornare l’emozione nelle parole, la passione nei pensieri, il cuore nella testa. Altrimenti restiamo quelli che siamo: una parte politica che ha perso credibilità. Parliamo ma mostriamo di non credere a quel che diciamo”.
Carlo Salvemini è il sindaco di Lecce riconfermato al primo turno nella prova d’appello. Ha 53 anni, e dà l’impressione, per via della barba e del suo amore per le camicie senza colletto, di un intellettuale iraniano in esilio. Dirige un’azienda che distribuisce libri scolastici. Aveva vinto rocambolescamente già due anni fa, ma non aveva con sé una maggioranza. E infatti era stato fatto dimettere. Salvemini, militante della sinistra classicheggiante, un cuore rosso antico cioè, e forse per questo fuoriuscito da anni dal Pd, ha rivinto, mettendo insieme un bel cartello di formazioni in cui il partito di Zingaretti è comunque stato compagno d’avventura. Ha vinto in una città dove la destra dominava quando tutto il resto d’Italia era dell’Ulivo. Figurarsi ora che il vento spira forte e in senso decisamente contrario.
Dunque, sindaco lei dice che la sinistra è vittima di una specie di malattia autoimmune. Più che Salvini è l’astenia a fregarla.
Ricordo le parole con cui abbiamo annunciato, per esempio, il reddito di inclusione. Ricordo la distrazione con la quale si elencava succintamente il provvedimento. Si intuiva che dei poveri e poverissimi poco c’importava. Abbiamo così annientato, con la voce metallica, robotizzata di un governo senza cuore, la radice quadrata della nostra identità politica. Cos’è la sinistra senza una lotta appassionata, magari disperata, contro le ingiustizie sociali?
Non è questo un effetto collaterale dell’esercizio pluriennale del potere?
È la misura di quel che non si è fatto. Non si è fatto scouting, non si è cercato di promuovere nuove figure. I segretari a Roma cambiavano ma nelle regioni tutto rimaneva uguale a se stesso. Sempre gli stessi referenti di un ventennio. E allora come puoi pensare tu Renzi che la gente ti creda che vuoi cambiare l’Italia quando in casa tua ti affidi a quelli di sempre? Dico Renzi, ma vale il discorso per Bersani, quand’era lui il titolare della ditta, e per Zingaretti adesso. E per tutti quegli altri che storpiano il nome della sinistra, lo diluiscono in sbiadite pratiche di consenso
Lei che farebbe?
Io faccio quel che so fare. Amo la politica ma non ho vissuto mai un giorno senza il mio lavoro. Ho amato la politica anche quando non sono stato eletto nel consiglio comunale, e la amerò anche quando ne uscirò
Lei.
Ho riportato in pista i trentenni e i quarantenni, due generazioni messe ai margini. E devo coltivare la loro emancipazione, costruire personalità che nel futuro proseguano il lavoro che abbiamo iniziato.
Lecce è bellissima, ma ha una periferia grigia, bruttina assai.
Il bello può narcotizzare al punto che hai la fortuna di avere un magnifico anfiteatro romano nella piazza principale, quella di Sant’Orono, e nemmeno accorgertene. È il processo di narcosi del bello. Ne siamo così pieni da dimenticarcene. Anche se la città nel suo complesso è consapevole dell’incantevole barocco che l’avvolge (fino in qualche caso eccedere con punte di presunzione).
Ma la bellezza si deve coltivare anche fuori le mura antiche.
Infatti io elimino dal vocabolario la parola periferie e parlo di quartieri. I leccesi devono capire che lo spazio pubblico è una continuazione del proprio salotto privato. C’è la casa e quel che le sta intorno dev’essere curato e bello quanto quel che è di esclusiva proprietà. Conquistare la nozione di bene comune e poi costruire un pensiero comune che lo tuteli.
Lei amministra Lecce. Se dovesse trovarsi a dare un consiglio a Zingaretti?
Non parli mai di governo. Che andiamo a fare al governo adesso? Per fare cosa? E con chi? Adesso c’è una sola urgenza: riacquistare credibilità. Abbiamo perduto l’identità e la rotta per un difetto di reputazione. Gli elettori non ci stimano. E perché non hanno fiducia in noi?.
Per la voce metallica della sinistra, mi dirà.
Per quel che non abbiamo fatto ma soprattutto per come ci siamo mostrati. Insensibili alle questioni grandi e drammatiche: la casa che in tanti non posseggono in un Paese che scoppia di case. Le file all’ospedale, le ingiustizie che si vivono nei luoghi pubblici, i buchi neri della scuola. Istruzione, sanità, emarginazione. Sono tre pilastri del dolore.
Vuole il mondo nuovo.
Voglio la verità. Dobbiamo fare un discorso di verità al popolo. Dobbiamo dire che abbiamo le pezze al culo e che i problemi sono così grandi che non li risolveremo in due mesi. Gli italiani sanno avere pazienza, ci aspetteranno. A patto però che ritorniamo ad essere credibili ai loro occhi.
E per essere credibili serve il cuore.
Rigenerazione emotiva. Ci si emoziona per un filo d’erba, perché non dovremmo emozionarci per compiere battaglie a favore degli ultimi? Perché non dovremmo appassionarci del mare pulito? Sa che Lecce ha 25 chilometri di costa, è una città di mare? Nessuno lo sa, e il mio compito è di dire agli italiani: se venite troverete il barocco e una spiaggia magnifica. Non è una grande battaglia? Non è un modo per costruire posti di lavoro? Ripulire e ricucire quartieri che hanno subìto, perché distanti dalla bellezza monumentale, gli sfregi dell’incultura, dell’approssimazione, della colpevole disattenzione.
Che altro deve fare Zingaretti?
Non stare un giorno a Roma. Andare per città e paesi a trovare la sua gente. Senza comizi o assemblee affollate. Incontri a quattr’occhi. Riconoscerà i bravi, gli darà fiducia, costruirà una classe dirigente vera. Avendo davanti però non sei mesi di opposizione.
Lei proprio non vuole andare al governo?
Al governo ci si arriva dopo che hai programmi e persone, idee e alleanze. Il tutto subito è una grande debacle dell’intelligenza. Questo presentismo, voler risolvere a sera il problema che si è manifestato al mattino, è una prova dilettantesca, la misura della modestia delle nostre ambizioni. La popolarità evapora in fretta.
Lei ha vinto al primo turno.
Ho convinto i miei concittadini, ritengono che io sappia amministrare. Adesso è il momento di ricambiare ma senza quella frenesia da talk show. Bisogna lavorare con serietà e con determinazione, e dare a ciascun problema una soluzione possibilmente intelligente.