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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

Intervista a Alexander Zverev

Essere un predestinato, sentirsi dire da una vita che un giorno sarebbe diventato il dio del tennis, non deve essere un peso facile da portare. Soprattutto se te lo dicono da quando hai 16 anni. Eppure oggi Alexander Zverev, che di anni ne ha 22, è numero 5 del mondo e ha già vinto 11 tornei, incluse le Atp Finals del 2018, anche se non è ancora mai arrivato in semifinale in uno Slam. Due anni fa a Roma sorprese Djokovic in finale. E l’Italia è ancora nel suo destino, visto che oggi incrocia quel Fabio Fognini che l’ha battuto a Montecarlo.
Sascha, ha una chance per la rivincita.
«Ma no, l’ ho già battuto due anni fa a Roma. Certo, Fabio sta giocando benissimo sulla terra rossa: ha battuto Nadal, che è tra i più grandi della storia. Poi è maturato: ha una moglie, un figlio. Sono cose che evidentemente lo hanno aiutato come uomo, anche se non so molto altro di lui, non lo conosco così bene. Si muove veloce, non ha un gioco prevedibile, colpisce duro la palla. Sarà un match complicato, ma proverò a dare il mio meglio».
Era venuto a Roma per dimenticare un periodo difficile…
«Vero, ma non è andata come speravo. Però Roma mi trasmette una grande energia positiva, con i fan sempre positivi».
Soprattutto quelli giovani, sarà per via del suo look.
«Perché, cosa c’è che non va?».
Nulla, ma diciamo che quel certo numero di collane, e i capelli lunghi, le conferiscono un certo non so che.
«Le collane fanno parte di me. Non mi pesano e non mi creano problemi. E i capelli li ho tagliati».
Come anche Shapovalov. Resta solo Tsitsipas, gli avete lasciato la vittoria nella guerra dei lunghi capelli.
«È così, vediamo il tempo a chi dà ragione».
Scherzi a parte, ha vissuto il suo primo momento difficile della carriera.
«Spero di esserne uscito, voglio sperare che la convalescenza sia finita».
Ha scoperto le ragioni di questi bassi?
«Forse sì, ma vorrei tenermele per me».
In fondo è un giovanissimo.
«E cerco sempre di restare come sono: una brava persona, aperto e onesto con gli altri. Ma sono anche una persona molto emotiva e quindi, come tutti, con alti e bassi. Sto imparando ad affrontare bene le mie delusioni».
Quante trappole ha già evitato durante il percorso?
«Ho smesso di contarle, quelle più fastidiose erano le parole di certi allenatori che continuavano a ripetere che sarei diventato uno dei più grandi».
Pensa fossero in malafede?
«Ritengo di essere abbastanza intelligente da sapere che non lo pensano sinceramente. Stanno cercando di minare la mia fiducia».
Però è lo stesso pensiero espresso da Federer e Nadal, sul suo conto.
«Ho le prove che non mi lodavano per, come dire, spezzarmi psicologicamente».
Resta il fatto che batterli è ancora complicato.
«Personalmente credo che mai uno Slam sarà più vinto da un adolescente».
Perché? Boris Becker, tedesco come lei, ci riuscì.
«Il tennis è diventato molto più fisico, più faticoso, e quando hai 17-18 anni non sei pronto fisicamente per sostenere quei ritmi per due settimane».
E quindi restano le critiche.
«Io non ho problemi con le critiche perché sono io il mio primo critico, il più duro di tutti: cerco di essere sempre onesto con me stesso».
Ammetta: le piace piacere.
«Certo. Mi sembra normale, chi non vuole il gradimento, il consenso altrui? A me interessa soprattutto essere amato e seguito in Germania, a casa mia, anche se poi mi rendo conto, e continuo a crederlo, che molti non mi conoscano affatto».
Ora è un top player, ma ricorda le prima volte contro i big?
«Certo. Ero nervoso, penso capiti a tutti quelli che hanno incontrato Federer, Nadal o Djokovic. Ma dopo diventano un’abitudine, quasi una routine, ed è questo il modo in cui devi pensare. Non puoi pensare a loro come leggende. In campo ogni avversario va trattato nella stessa maniera. Fortunatamente per me l’ho imparato velocemente».
E qual è stato il segreto?
«Una persona, in realtà: mio fratello Mischa. Ho viaggiato nel tour con lui, all’inizio, e quindi mi ero già abituato a vedere tutti negli spogliatoi fin da piccolo. Penso che mi abbia aiutato molto. Come anche la vicinanza di Mischa, che non mi ha fatto sentire nostalgia di casa. La famiglia resta la cosa più importante».