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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

Il triste saluto di Juan Carlos

Fine malinconica e ingloriosa di un ex re. Cala il sipario sulle ombre degli scandali, sulla leggenda delle 1.500 amanti, sul denaro non pulito. Mai come in questa foto, spettatore di una mesta corrida, il re, o meglio l’ex re, appare solo, abbandonato da tutti, con il vuoto intorno tranne qualche comparsa. L’addio alle scene, il sipario che scende, è da ieri un addio definitivo e ufficiale. Juan Carlos, il re della transizione della Spagna dalla dittatura alla democrazia, si ritira a vita privata.
La sua è una lunga parabola discendente che è arrivata al capolinea. La notizia è secca e a molti è apparsa superflua: l’ex re di Spagna Juan Carlos si ritira, cinque anni dopo l’annuncio della sua abdicazione in favore del figlio Felipe. «Credo che sia giunto il momento di aprire una nuova pagina nella mia vita», ha scritto l’ex monarca nei giorni scorsi in una lettera all’attuale sovrano, spiegando di avere maturato questa decisione lo scorso anno allo scoccare del suo ottantesimo compleanno. Sono passati esattamente cinque anni – era il 2 giugno del 2014 – quando Mariano Rajoy annunciò l’abdicazione del re nello stupore generale. Il giorno 18 il sovrano firmò l’atto ufficiale, fece le valigie e se ne andò, tranne restare come figura patriarcale in qualche foto di gruppo. Anche alla Zarzuela le cose possono precipitare molto rapidamente. Anche un re ritenuto probo, senza una vera corte, rispettato pure dai repubblicani, che aveva sempre fatto della sobrietà il suo stile, può mutarsi nel suo esatto opposto. Fino a un anno prima, interpellata su una possibile abdicazione di Juan Carlos, la paziente regina Sofia, pur umiliata da un grottesco numero di probabili tradimenti coniugali, non aveva lasciato adito a dubbi: «Un re può andare in pensione solo con la morte», tagliò corto.
E invece. Negli anni del tramonto, prima che esplodessero gli scandali culminati in un safari galeotto, una caccia miliardaria all’elefante con l’amante di turno, si continuava a parlare della Spagna non come di un paese monarchico, ma più semplicemente di un paese juancarlista, fedele al suo re, cui era legato da un immenso debito di riconoscenza per aver sventato il tentato golpe militare di Tejero nell’81 e aver traghettato la Spagna con mano sicura dalla dittatura di Franco alla nascente democrazia. E invece il Paese che guardava a lui come a un padre lo ha obbligato a scendere dal trono. E a levare il disturbo, dando fiducia a Felipe VI, considerato privo di qualunque carisma, ma che certamente – per ora – non ha fatto rimpiangere il padre. Figura triste quella di Juan Carlos, per 39 anni sul trono, indicato a lungo come uno dei sovrani più amati e più illuminati d’Europa. Considerava Roma e l’Italia la sua seconda casa. A Roma è nato mentre la sua famiglia era in esilio, in via Condotti è stato battezzato dal cardinal Pacelli, futuro papa. A Roma fece la sua prima visita di stato dopo aver sventato il golpe del colonnello Tejero. Privatamente, in incognito soprattutto per le regate, Juan Carlos aveva l’abitudine di venire in Italia una mezza dozzina di volte.