Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 03 Lunedì calendario

«Ho vestito Barbie»

Subito icona di stile, Barbie, con qualche concessione al camp: dal costume da bagno bianco e nero del debutto all’abito fluttuante e scintillante delle celebrazioni per il sessantesimo compleanno, è passata attraverso outfit di ogni genere. Sempre sulla cresta dell’onda in fatto di moda e costume. E dietro di lei c’è sempre stata una piccola schiera di stilisti a creare abiti, accessori e particolari. Carol Spencer, 86 anni, è entrata a far parte di questa ristretta schiera nel 1963 (allora erano tre le stiliste) e vi è rimasta fin quasi alla svolta del Millennio, quando di designer ce n’erano decine, divisi in due reparti (per il prodotto «di consumo« e «per collezionisti»). Barbie le deve (ma anche per Ken e Big Jim) migliaia di «capetti». Ha ideato personaggi, studiato contesti, individuato tendenze Carol Spencer. Del suo lavoro lungo quei 35 anni ha scritto in «Dressing Barbie. A Celebration of the Clothes That Made America’s Favorite Doll, and the Incredible Woman Behind Them», libro dal ricchissimo apparato iconografico uscito da poche settimane (HarperCollins Design, 35 $). 
Studi di fashion design, uno stage alla rivista «Mademoiselle» a New York e pratica in varie aziende di abbigliamento, da Minneapolis dove è nata, la stilista si trasferisce a Los Angeles nel 1962. Non si è più spostata di lì. Oggi vive in una grande casa piena delle sue bambole. 
«Vestire Barbie – spiega oggi, quando le facciamo osservare che si era scelta un lavoro ben bizzarro - era esattamente quello che volevo fare. Da piccola disegnavo abiti di carta per le bambole che ritagliavo dai giornali». 
Da Mattel entrò rispondendo a un annuncio: Barbie veniva prodotta solo da tre anni. Realizza il primo abito, «Crisp ’N Cool», nel 1964: un tailleurino rosso con giacchino bianco senza maniche, molto alla Jackie Kennedy. Barbie era già un successo commerciale ma non ancora il fenomeno pop che sarebbe diventata. «Qualcosa del suo potenziale lo avevamo intuito ma niente che facesse immaginare cosa sarebbe accaduto. Io ero soprattutto felice di fare quel lavoro così divertente e variegato. Barbie era così alla moda e stilosa!». 
Jacqueline Kennedy il primo abito, le mode hippy di lì a qualche tempo, le prime donne professioniste in tailleur, nel 1965 Barbie astronauta. Malgrado le accuse che le muoverà il movimento femminista a causa di quell’aspetto così sexy, la bambola «respira» subito lo spirito dei tempi. Viene venduta in tutto il mondo. In cerca di ispirazione la Spencer ha girato il pianeta in lungo e in largo. «Le idee arrivavano dappertutto, dalla vita e dalla moda. Vestiva come le ragazze della porta accanto (il life style californiano) ma aveva anche l’eleganza di Parigi e New York. Già nei ’60 avevamo capito che sarebbero stati francesi e italiani a dettare lo stile della moda». Dalle passerelle o dalla strada ai negozi, spiega ancora Spencer, «passavano da 12 a 18 mesi. A quel punto quella tendenza si era affermata, le bambine la riconoscevano. Gli studi che avevo fatto da ragazza, avevano affinato la mia sensibilità e curiosità». 
Dal 1963 al 1998, quando è andata in pensione, da quel bizzarro osservatorio Carol Spencer è stata testimone di importanti cambiamenti sociali. «Mi è piaciuto osservare quei mutamenti, veder crescere il movimento femminile e aprirsi nuove opportunità alle donne. Questo ha offerto nuove prospettive a Barbie. E a ogni bambina più possibilità di esplorare e sognare». Oggi lo chiamano empowerment, consapevolezza, e Mattel la pratica con convinzione ancora maggiore negli ultimi anni. 
Due le tappe fondamentali nella propria carriera e nella storia di Barbie che la creatrice di tanti modelli ricorda: è suo l’abito più venduto in assoluto di tutti i tempi, quello della mitica «Totally Hair Barbie» del 1992. E «Benefit Ball Barbie Doll», sempre del 1992: la prima «firmata». «Sono stata la prima designer ad avere il proprio nome sulla confezione. Un grande traguardo! Da quel momento Mattel ha iniziato a mettere sempre sulla scatola il nome di chi ha ideato un modello». 
Pur pensionata, non ha smesso di pensare a Barbie: come dimostra il libro appena uscito, e come dimostra l’attenzione alle novità introdotte in quel mondo da Mattel. «Nel 2016 sono state create, completamente nuove, le Barbie Fashionistas: quattro “taglie” (Tall, Petite, Curvy e «originale»), sette tonalità di pelle, 22 colori degli occhi e 24 acconciature. Questo ha resa Barie ancora più vera. Ma era una cosa già insita nel piano originale».
Quest’anno Barbie ha compito 60 anni. Ed è stata per Carol Spencer una cosa quasi naturale. «Barbie è senza età. Segue l’evoluzione della società. Cambia mentre cambiamo noi. Sempre attuale e proiettata verso il futuro».