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 2019  giugno 03 Lunedì calendario

La crisi del dado Knorr

Anche nel Veneto dove l’agroalimentare è uno dei motori trainanti dell’economia e dell’export italiano una multinazionale decide di smantellare un pezzo della sua produzione per delocalizzarla in Portogallo. Unilever, dal 2000 proprietaria del marchio Knorr, ha deciso di trasferire la realizzazione dei dadi da brodo tradizionali, che da 54 anni venivano realizzati a Sanguinetto, in provincia di Verona, nel paese lusitano dove il costo del lavoro è inferiore. Una scelta che si porta dietro la procedura di licenziamento collettivo di 76 dei 161 addetti e che ha portato alla proclamazione di uno sciopero da parte delle organizzazioni dei lavoratori.

Gianfranco Chimirri, direttore comunicazione di Unilever Italia, in una dichiarazione raccolta dal Sole 24 ore, ha spiegato che la scelta è legata alle «rilevanti difficoltà riscontrate a livello europeo e italiano nel settore dei dadi da brodo tradizionali, che hanno portato ad una diminuzione del fatturato di più del 10% in due anni, e dall’esigenza di rispondere alle mutate esigenze del mercato». I sindacati, in particolare la Uila, la vedono diversamente e si dicono preoccupati perché temono l’esistenza di un «piano preordinato che porti alla cessazione di ogni attività in questo sito dove non si investe da cinque anni mentre a seguito del passato periodo di mobilità erano state smantellate due linee per il brodo gel».
Attualmente lo stabilimento veronese produce, oltre a dadi dry, quello granulare, il dado gel e la linea “risotteria”. Il peso del dado classico, però è consistente. Nei prossimi giorni si capirà se le intenzioni dell’azienda di diversificare la produzione nel lungo periodo verso «prodotti food più in linea con i trend di mercato e verso un legame sempre più stretto con il mercato italiano» diventeranno parte di un piano industriale. 
Investimenti e ricerca
Quel che è certo è che Unilever ha letto e interpretato la nuove tendenze dei consumatori europei e italiani ma per dirla con Lorenzo Bazzano, responsabile economico Coldiretti, è «chiaro che prima o poi una multinazionale straniera che ha acquistati una fabbrica italiana prima o poi troverà il modo di delocalizzare all’estero, soprattutto nel campo del cibo». In questo «caso si sconta il mancato investimento in ricerca e sviluppo nello stabilimento di Verona e in una regione tra le prime a valorizzare i prodotti del territorio». Poi aggiunge: «I consumatori si sono orientati nell’acquisto di prodotti che diano un servizio aggiuntivo, come i cibi pronti, e che nello stesso tempo rispettino le caratteristiche di naturalità con basso contenuto calorico, di zuccheri, grassi e sale». 
Le tendenze del consumo
I risultati della quarta edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, che ha analizzato le informazioni riportate sul packaging di oltre 60 mila prodotti alimentari di largo consumo commercializzati in Italia nella grande distribuzione sembrano confermare quell’analisi. Dal report emerge la propensione della famiglia italiana a comprare i piatti pronti «free from», in particolare dei primi piatti che realizzano oltre la metà del giro d’affari complessivo (51,6%) e incrementando le vendite. Il 34,5% dei prodotti ha in etichetta l’indicazione «senza conservanti» (+8,2% di crescita annua), il 28,9% «pochi grassi» (+6,9%) e il 22% «senza additivi» (+23,3%). Anche la dicitura «adatto a una dieta vegana/vegetariana» è un elemento sempre più presente sul packaging dei piatti pronti, in particolare sulle zuppe fresche (il “claim” genera la metà delle vendite della categoria), così come si consolida l’incidenza del biologico (8% delle vendite). E poi c’è il territorio. Il report evidenzia che i prodotti che riportano in etichetta elementi grafici come il tricolore o la dicitura «prodotto in Italia» o «100% italiano» realizzano il 42,9% delle vendite totali della categoria con una crescita del 17%.