Libero, 3 giugno 2019
La clonazione umana è vicina, dice il professor Bini
Non c’è regista o scrittore di fantascienza che non abbia raccontato almeno una volta, con la sua fantasia, il tema della clonazione umana. La riproduzione perfetta di un individuo in tutto e per tutto identico ad un altro. Il sogno dell’immortalità, la sfida alle leggi umane ed etiche sono emozioni suggestive, avvincenti, intense. Ma se non fosse solo fantascienza? Se davvero si potesse riprodurre un essere umano in carne ed ossa, cosa succederebbe? A volte la scienza supera la fantascienza e, quando questo accade, bisogna fermarsi. A riflettere. Disegnare scenari futuri per comprenderne le conseguenze. E marcare un confine. Abbiamo provato a farlo con il professor Maurizio Bini, Direttore del Centro di riproduzione assistita dell’Ospedale Niguarda di Milano. Professor Bini, la scienza ha cambiato il corso della storia e continuerà a farlo. Ci sono dei punti di non ritorno, o meglio, dei confini da stabilire? «Quando Ruggero Bacone fondò nel 1620 la parte teorica della nostra scienza, scelse per la copertina del suo libro lo stemma di Carlo V di Spagna con le due colonne d’Ercole e la scritta “Plus ultra”, qualcosa tipo “andiamo al di là dei confini stabiliti”. Quando Galileo fondò nel 1610 col suo cannocchiale il metodo pratico della nostra scienza, trovando le note, anche violente, resistenze dell’ordine costituito, si intestò la battaglia della “libertà della scienza”. Già a quei tempi, anche senza strumenti amplificanti, i pericoli “in nuce” si vedevano tutti: una scienza senza confini è, per dirla col bioeticista Jonas: “sia triste che pericolosa” e una indiscussa libertà richiesta che dalla scienza astronomica si estende acriticamente alla biologia soprattutto a quella umana. Queste considerazioni sono state sottolineate in un recente convegno che si è tenuto presso l’Ospedale di Niguarda e che ha trattato, tra altri, anche l’argomento della clonazione. Argomento complesso, che merita qualche chiarificazione e riflessione». Era il 1996 quando il grande pubblico scoprì davvero che cos’è la clonazione con il celebre caso della pecora Dolly. Primo, ma non unico...
«Cominciamo dalla clonazione animale dove noi italiani siamo all’avanguardia: dopo la nota pecora scozzese Dolly il primo toro clonato, la prima puledra, anche il primo animale selvatico, il muflone, l’abbiamo fatto noi. Al di là della semplice dimostrazione di capacità, le applicazioni veterinarie si articolano nel potenziamento alimentare, nella replicazione di animali con caratteristiche eccezionali, nella replica degli animali di affezione deceduti, nell’evitare dell’estinzione delle specie a rischio assoluto e nella creazione di animali che producano sostanze o organi utili per la specie umana».
La clonazione animale è dunque una realtà che sta diventando, in parte, anche un mercato?
«Il potenziamento della produzione alimentare mediante clonazione è già da tempo estesamente attivo sia nel pollame che nella zootecnia senza che i consumatori ne abbiano le dovute segnalazioni; anche la replicazione di animali da competizione precocemente scomparsi è pratica, se non routinariamente attiva, almeno estesamente tentata (il tentativo più noto è quello di Eva, cavalla campionessa di cross country). Per la replicazione di animali domestici (i più noti cani clonati sono quelli di Barbra Streisand) ce la si può cavare con 70.000 euro e un tasso di successo del 40 per cento. Tutte queste applicazioni, per quanto affascinanti, sono comunque considerate dalla maggior parte dei bioeticisti superflue e non sembrano superare le più comuni obiezioni etiche».
Le specie animali a rischio estinzione sono tantissime, oltre 250 solo in Italia con pericoli seri per animali come il lupo, l’orso bruno marsicano, lo stambecco. Clonare questi animali per salvarli è la soluzione giusta per il futuro?
«Applicare la clonazione per salvare le specie a rischio è tutta un’altra storia. Qui la maggior parte degli esperti e delle indicazioni legislative si orientano in senso favorevole. L’ultima applicazione è più complessa perché consiste nel manipolare alcune cellule animali rendendole capaci di sintetizzare sostanze utili all’uomo o di renderle non più rigettabili dal corpo umano e poi clonare, a partire da queste cellule, animali capaci di produrre la sostanza desiderata o organi trapiantabili nell’umano in assenza di altro donatore compatibile. Anche in questo caso l’utilità estrema dei vantaggi oscura la maggior parte delle obiezioni».
Inutile girarci intorno, quando si parla di clonazione, il pensiero corre a quella umana. Solo fantascienza?
«La clonazione umana è stata più volte annunciata. Prima da David Rorvik nel 1978 e la storia finì con una ritrattazione ma un guadagno netto per l’autore di quasi 1 milione di dollari di pubblicità. Poi nel 2001 dalla triade Zavos (Kentucky), Antinori (Italia), Raeliani (Corea) senza mai una dimostrazione reale di effettuazione, e ancora più recentemente nel 2009 dal Coreano Hwang Woo Suk costretto a una pubblica abiura anche sulla copertina del “Time”. Tutte bufale, ma...».
Ma?
«Ma tecnicamente ci siamo: siamo già capaci di produrre da embrioni umani clonati linee cellulari utili per riparare difetti cardiaci o deficit neurologici, già possiamo disporre di spermatozoi e ovociti di soggetti sterili ottenuti da embrioni clonati a partire da cellule di altra parte del corpo. Tutte cose utilissime che fanno quasi dimenticare il valore dell’embrione umano prodotto specificatamente e poi distrutto per ottenere la linea cellulare desiderata. Comunque la si pensi e qualunque siano i parametri etici di riferimento (gli anglosassoni conferiscono dignità all’embrione molto più tardivamente di noi per cui si muovono in questo campo con una disinvoltura che ci lascia perplessi) le riflessioni che sempre devono precedere le azioni sembrano essere state un po’ superficiali».
Si possono clonare i tessuti a scopo terapeutico, si può fare lo stesso con un individuo?
«Quando parliamo di gameti artificiali, una volta ottenuti poi qualcuno vorrà metterli insieme per creare una nuova vita infischiandosene del 277 tentativi abortivi o malformativi che hanno preceduto la nascita di Dolly (tra l’altro precocemente invecchiata e deceduta). E queste sono le preoccupazioni per la clonazione terapeutica, la più semplice e utile, non parliamo poi di quella riproduttiva cioè di far nascere un clone completo di un essere umano già vivente o precocemente scomparso impiantando l’embrione clonato nell’utero di una donna ricevente».
Dunque, clonare una persona è tecnicamente possibile, ma con quali rischi?
«A parte l’ovvia impossibilità di replicare perfettamente il soggetto, perché ognuno di noi non è solo frutto della genetica ma anche dell’esperienza e dei tempi in cui vive, la sola possibilità tecnica dovrebbe spaventarci. Non a caso il congresso di Niguarda sulla clonazione ha come sottotitolo “Sguardi sullo spaventevole futuro”. Un futuro speriamo in cui sapremo ancora identificare con certezza le colonne da non varcare».
E solo l’idea che si possa clonare ovulo e sperma ed effettuare un impianto senza sapere se quello che nascerà sarà davvero un essere umano in carne ed ossa con organi e tessuti umani o una specie di mutante, spaventa davvero. Non sapere se qualche scienziato senza scrupoli lo abbia già fatto (e con quali risultati) mette i brividi.