Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 03 Lunedì calendario

I danni psicofisici della malagiustizia

Ci sono i genitori del piccolo Angelo, che hanno dovuto attendere 34 anni per avere una sentenza beffa: poche migliaia di euro di risarcimento per il loro bimbo travolto e ucciso da un pirata della strada; c’è un ex amante siciliano costretto a soggiornare una settimana in carcere per uno stalking mai commesso, e un imprenditore di Bergamo che ha polverizzato un capitale in spese legali per cercare invano di avere giustizia. E ancora, sempre in tema di assurde lungaggini, c’è la storia kafkiana del signor Ponticello, finito nel labirinto degli errori di magistrati e avvocati, tanto che per avere una sentenza e per cercare di dimostrare la sua innocenza ha rinunciato alla prescrizione ed ha dovuto attendere quarant’anni; e quella di Luca, che non può rientrare a Sora per reati che non ha commesso; di Giuseppe Casto, di Lecce, titolare di un’attività alimentare, truffato dal suo legale di fiducia. Sono solo alcune tra le 8mila storie raccolte in sette anni alla sede milanese dell’associazione italiana vittime di malagiustizia (Aivm). Ad oggi l’associazione conta in archivio 7.863 casi, storie per lo più di gente comune che all’improvviso si è trovata in una macchina della giustizia troppo ingolfata e troppo spesso incapace di fare retromarcia quando prende una strada sbagliata. Lo dimostrano i clamorosi fascicoli giudiziari di persone arrestate senza mai aver commesso il reato contestato e poi assolte, di denunce di vittime che si trovano addirittura imputate, di sentenze scandalose che mettono innocenti all’angolo, di vite distrutte dalla (mala) giustizia, in una sorta di maledizione che inevitabilmente si allarga ai familiari delle vittime. 

ULTIMA SPIAGGIA
Fondatore dell’Aivm, che oggi si avvale di una equipe di volontari formata da avvocati, psicologi, laureandi in legge, sociologi, è Mario Caizzone, un commercialista milanese d’adozione che in passato ha provato a proprie spese cosa significa finire da innocente nelle maglie della giustizia, perché accusato di calunnia e di reati che avrebbe compiuto in ruoli che in realtà non aveva mai ricoperto all’interno delle singole società sotto indagine per presunte “bustarelle”. «Ho dovuto aspettare 21 anni per avere un certificato penale immacolato», sintetizza la sua storia il presidente Caizzone. «Ho vissuto cose talmente assurde che ho deciso di fondare l’associazione che, ci tengo a sottolineare, si basa solo sul volontariato ed è a titolo gratuito. In questi sette anni di casi analizzati abbiamo visto di tutto: dal disinteresse verso i diritti alla difesa, alla collusione e arroganza del potere esercitati con la certezza dell’impunità e dell’intoccabilità dei giudici e in alcuni casi degli avvocati. Negli ultimi anni abbiamo visto un aumento di casi di persone che si rivolgono a noi come ultima spiaggia perché o hanno litigato con i propri legali, oppure non hanno più soldi per pagarseli. Così li aiutiamo a scrivere le denunce. Devo anche purtroppo constatare che spesso i legali sbagliano più dei magistrati. Abbiamo casi di ricorsi presentati fuori termine con danni importanti pagati sempre e solo dai clienti». Ma chi sono le persone che si rivolgono all’associazione? Secondo l’osservatorio Aivm, il 71% di chi chiama per chiedere aiuto è formato da uomini (età media 40/60 anni), mentre il 53% delle richieste arriva dal nord Italia. Sono per lo più lavoratori autonomi (33%), coniugati (43%) o divorziati-separati (31%) con problematiche legate alla giurisdizione penale (52%) e civile (42%). Per le cause civili, il 29% riguarda il diritto di famiglia, il 36% la responsabilità civile, solo il 4% ai fallimenti. Il 57% dei casi valutati, arriva all’Aivm quando l’Iter giudiziario è al primo grado di giudizio (il 32% al secondo grado, l’11% al terzo). Nel penale, invece, la fattispecie più analizzata è quella dei delitti contro il patrimonio (25%) e contro la persona (20%), mentre i delitti sessuali sono al 9%. Anche in questo caso la maggior parte dei fascicoli esaminati era al primo grado di giudizio (69%). «La gente viene da noi stordita», confida il presidente dell’Aivm, «perché vivere un caso di ingiustizia ti cambia la vita in peggio, entri un girone infernale che ti esaurisce. Sono aumentati infatti i casi di persone sottoposte addirittura ai trattamenti sanitari obbligatori. Succede ai padri allontanati dai figli, ma anche a chi si sente vittima di ingiustizia e cade nello sconforto totale. Su quasi ottomila casi ne abbiamo trattati almeno una cinquantina di persone finite col Tso. Si ricorda lo scandalo delle casalinghe di Voghera? Ecco, anche il marito di una donna coinvolta, che si è scoperto che in realtà non lo era, ha rischiato di essere sottoposto a questo trattamento».

CONSIGLI E SUPPORTO
Secondo Mario Caizzone, la crisi ha fatto schizzare le richieste di aiuto. «Siamo arrivati ad una media di una decina di chiamate al giorno», spiega. «Spesso sono persone disperate che non sanno più che fare e non hanno magari più le risorse economiche. Il nostro compito è quello di analizzare tutta la documentazione e consigliare il da farsi. Non possiamo dare incarichi ai nostri legali, possiamo solo dare un supporto semmai ai colleghi, quelle rare volte che lo accettano. Per il resto, quando vediamo che la causa è a un punto di non ritorno, cerchiamo di convincere le vittime di malagiustizia ad abbandonare le armi. Cosa non facile, ma con pazienza ci si riesce. In sette anni di attività ne abbiamo viste di tutti i colori». Il pensiero va ai tanti Michele Tedesco, di Gravina di Puglia, imprenditore vittima di un errore giudiziario che gli ha stravolto la vita. Lo andarono a prendere a casa alle cinque del mattino per arrestarlo per spaccio. Restò un mese in carcere, altri tre ai domiciliari, altri due anni col divieto di allontanarsi da casa e obbligo di firma. Dopo nove anni la Corte di Assise lo ha assolto con ampia formula di merito. «Nonostante le sofferenze subìte», chiosa il presidente, «e nonostante la sentenza che lo dichiara estraneo ai fatti, Tedesco continua a pagare ancora oggi le conseguenze di un grave errore giudiziario. E come lui ce ne sono tantissimi. Innocenti messi al palo senza ragione e troppo spesso liquidati con una miseria. Quando va bene».