il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2019
La fuga dei tifosi dalla Serie A
Il primo gol di Cristiano Ronaldo su Sky, la festa scudetto su Dazn. Ritardi, proteste, polemiche, il solito trionfo della Juventus: il campionato 2018/2019 è stato la rivoluzione del pallone in tv, con l’addio allo storico duopolio Sky-Mediaset e l’inizio di una nuova era, fatta di doppi abbonamenti ed esclusive pretese dalle pay-tv (anzi, dall’unica pay-tv rimasta). Le rivoluzioni, però, fanno sempre vittime: in questo caso i tifosi. Con un mercato saturo, alla ricerca di profitti più alti, la soluzione è stata spremere gli appassionati, costretti a pagare di più per vedere le stesse partite, spesso meno bene, neppure troppo interessanti. Così tanti sono scappati e il bilancio di fine stagione non accontenta nessuno: la Serie A ha perso 700 mila abbonati e il 30% di audience, i conti Dazn per ora non tornano e pure Sky non ha troppo da festeggiare. Altro che effetto CR7.
Già era iniziato male
Il campionato del resto era iniziato male: la corsa al nuovo abbonamento, le immagini a scatto. Alla lunga i tifosi si sono abituati (o rassegnati) alla grande novità: Dazn è entrata nell’immaginario collettivo col volto di Diletta Leotta e nelle case degli italiani. Tante, quasi tutte: fra parenti o amici qualcuno che tira fuori la password quando c’è la partita si trova sempre. La vera domanda è: chi paga Dazn? Qui la risposta è più complessa, perché tra account condivisi, mesi di prova e voucher si tratta di una platea più fluida di quella delle tradizionali pay-tv. Niente numeri ufficiali, l’azienda non ne ha divulgati nemmeno nell’ultima convention in cui ha snocciolato inutili curiosità. Qualche dato però c’è: secondo rilevazioni effettuate dalla Lega Calcio, Dazn avrebbe circa 1,3 milioni di abbonati. Ancora più difficile capire quanti di questi in comune con Sky: quelli “propri” (utenti che hanno solo Dazn) sarebbero circa 300 mila. Di qui la contrazione del mercato.
I problemi sono tanti, e non riguardano solo il gap tecnologico del Paese (su cui l’azienda ora chiede aiuto al governo). Con solo tre partite a settimana (di cui una di cartello, l’anticipo del sabato sera) Dazn non è alternativa al colosso di Comcast, al massimo complementare. Non gode nemmeno di buona reputazione: vuoi per l’avvio tribolato, vuoi per un palinsesto inferiore, secondo una ricerca Antitrust la sua offerta viene considerata di qualità media (52%) o bassa (25%). Per entrare nel mercato italiano, però, Perform (la società che controlla Dazn) ha pagato caro: 193 milioni di euro a stagione per la Serie A, altri 22 per la Serie B, poi i vari tornei minori per arricchire il bouquet. Senza dimenticare i costi della nuova struttura, tra manager, giornalisti, tanti collaboratori, la pubblicità battente. Sky ha dato una mano (e milioni) anche comprando pacchetti di abbonamenti e i diritti per i locali commerciali, a riprova di una competizione non proprio agguerrita (la formazione di un secondo polo faceva comodo). Ma con 1,3 milioni di abbonati a 10 euro al mese (non per tutti i mesi e non tutti a prezzo pieno; c’è pure l’Iva da togliere) i conti per il momento non tornano. “Vogliamo raggiungere fra 3 e 5 milioni di clienti nel medio termine”, aveva detto il Ceo James Rushton. Senza spingersi a tanto, ce n’è di strada per il punto di pareggio (almeno sopra 2 milioni). Lo sbarco in Italia è comunque un successo, perché muovere un milione di abbonati in pochi mesi è risultato notevole. Al primo anno però l’operazione è in perdita e per invertire la tendenza c’è bisogno di altro: tre partite più la Serie B (che l’anno prossimo si annuncia ancora più povera, senza grandi piazze) non bastano.
L’esclusiva non basta
Sky così non ha più rivali. L’estate scorsa ha lottato duramente per ricacciare in patria gli spagnoli di Mediapro e avere un bando per prodotto, cucito su misura. Ha giocato al ribasso sui diritti, “spento” l’unico vero competitor, ottenuto esattamente ciò che voleva. Oggi chi vuole vedere la Serie A deve avere Sky. Di più: chi vuole vedere il pallone deve avere Sky, sommando Champions e Europa League il grado di esclusiva è altissimo. Infatti sono circa 3 milioni i clienti calcio (forse anche più, 3,2); secondo indiscrezioni di stampa a inizio 2019 quelli totali hanno superato quota 5 (l’ultimo bilancio Comcast era fermo a 4,8). Gli abbonati sono cresciuti. Forse, però, non quanto si aspettavano: se l’obiettivo era inglobare tutta l’ex clientela Mediaset per risistemare i conti, l’operazione può dirsi riuscita solo parzialmente. Il monopolio sulla Serie A non ha affatto risolto i problemi, anzi. Alle spalle ci sono tagli importanti (la sanguinosa chiusura della redazione romana), all’orizzonte pesanti impegni proprio sui diritti tv da onorare. Il traguardo dei 6 milioni di abbonati è lontano, presto Sky si troverà di nuovo a un bivio: non può fare a meno del calcio ma tenerlo costa tanto, forse troppo.
Clienti spremuti in fuga
Per ora la nuova era Sky-Dazn ha portato un solo risultato certo: la Serie A ha perso abbonati e spettatori. Dai 4 milioni medi di Sky-Mediaset si è passati a 3,3-3,5, con una riduzione di 700-500 mila abbonati secondo la Lega Calcio. Lo confermano gli ascolti tv, che fino all’anno scorso erano pubblicati sul sito della Serie A e da quest’anno non più: dai dati visionati da Il Fatto, nel girone d’andata ci sono stati 91 milioni di spettatori totali contro i 133 dell’anno scorso, meno -31% di audience cumulata (picco di -57% a ottobre). Del resto prima c’erano due grandi distributori, ora ne è rimasto solo uno. E gli ex abbonati Serie A Mediaset che fine hanno fatto? Secondo una ricerca Agcm, il 32% ha sottoscritto un’offerta Sky (o NowTv, la sua piattaforma streaming), il 15% Dazn, il 17% entrambi. Poi c’è una grossa fetta, il 36%, che non ha più niente. Nel passaggio dal vecchio al nuovo equilibrio la Serie A si è persa per strada tanti tifosi. Alcuni non guardano proprio più il pallone (c’è crisi), altri hanno trovato vie “alternative”: la pirateria, fenomeno in crescita allarmante che secondo Fapav (Federazione anti-pirateria) conta ormai 2 milioni di illegali. Tutti soldi sottratti al calcio, in particolare alle pay-tv inviperite per il furto, anche con chi non tutela il suo prodotto. Rischia di diventare ulteriore motivo di scontro.
Il calcio in tv è cambiato, forse cambierà ancora. Per ora ci sono altre due stagioni davanti così. Dazn si sta imponendo sul mercato italiano, anche se per ora a caro prezzo. Sky ha ottenuto ciò che voleva ma non il suo l’obiettivo. La Serie A non ci ha guadagnato (aumento dei ricavi minimo, perdita di spettatori) però si è garantita un altro triennio di sopravvivenza. Chi ci ha perso di sicuro, invece, è il tifoso: costretto per la prima volta dopo anni al doppio abbonamento, a spendere più e vedere meno, tra ritardi e rincari. In passato per la Serie A (almeno le 8 big) bastavano 29 euro al mese su digitale terrestre, oggi il prezzo di accesso minimo supera i 40. Qualcuno doveva pur rimetterci.