Il Sole 24 Ore, 2 giugno 2019
Il magico potere dei broccoli
Non dimenticherò mai una signora in cura al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center a New York per un grave tipo di tumore. Prese atto della situazione in modo razionale, e voleva capire bene le opzioni terapeutiche disponibili, ma poi esclamò: «Come è possibile che sia capitato a me questo tumore, dopo che per tutta la vita ho mangiato un piatto di broccoli ogni giorno». Prevenire il cancro è il sogno di noi tutti; e che la dieta possa influire sul rischio del cancro è dimostrato: per esempio, c’è un rapporto inverso tra la frequenza del cancro del colon e la quantità di fibre vegetali nella dieta; tuttavia, il cancro del colon può svilupparsi anche in chi ingerisce il massimo di fibre. Tra tutti i vegetali i broccoli sono i più studiati, nell’intento di trovare in essi sostanze che possano contrastare o prevenire il cancro: ma bisogna ammettere che molti di questi studi sono stati nel settore della soft science, noi diremmo della ricerca un po’ all’acqua di rose.
Ogni tumore è dovuto a una serie di mutazioni (la stima per molti tipi di tumore è di 3 mutazioni) che avvengono in una cellula normale, per errore nella replicazione del DNA o per effetto di agenti esterni detti mutageni. Nei tessuti normali la divisione cellulare è un processo finemente regolato da numerosi geni; la caratteristica essenziale di qualsiasi tumore, potremmo dire quella che lo definisce, è un grave turbamento di questo processo, per cui la crescita diviene sregolata o incontrollata.
In prima approssimazione possiamo individuare due tipi di geni implicati. I geni del primo tipo (oncogèni) favoriscono la crescita, ed una mutazione in uno di loro può causare crescita eccessiva; i geni del secondo tipo (onco-soppressori) controllano la crescita, ed una mutazione può rimuovere il controllo. Usando un paragone un po’ grossolano tra la crescita cellulare e un’auto in corsa, possiamo dire che la mutazione di un oncogène è come premere sull’acceleratore, mentre la mutazione di un onco-soppressore è come togliere un freno. In entrambi i casi, si può perdere il controllo dell’auto – o della crescita cellulare, come avviene nel tumore.
Pier Paolo Pandolfi dirige a Boston uno dei più rinomati centri di ricerca sui tumori, il Cancer Research Institute, Beth Israel Deaconess Cancer Center, Harvard Medical School. Da 30 anni (ha cominciato giovanissimo da studente) il filo conduttore della sua ricerca è capire a fondo nei più minuti dettagli i meccanismi molecolari che sottendono alla genesi e alla crescita dei tumori, con il fine ultimo di curarli e guarirli. La sua non è certo soft science, ma piuttosto hard science, direi granitica. Un lavoro appena uscito dal suo laboratorio sulla prestigiosa rivista «Science» illustra l’incontro tra cancro e broccoli: è una storia affascinante, non semplicissima, imperniata su due geni: uno si chiama PTEN e l’altro WWP1. PTEN è uno dei più importanti onco-soppressori (infatti mutazioni ereditarie che spengono PTEN portano allo sviluppo di tumori in età giovanile). PTEN produce un enzima (un particolare tipo di fosfatasi) capace di regolare la crescita cellulare (funziona da freno). WWP1 è un altro gene normale (favorisce la longevità nei vermi), ma nei tumori è spesso iperattivo ed allora, bloccando la funzione di PTEN (ossia togliendo il freno) si comporta di fatto come un oncogène: contrastare WWP1 sembrerebbe perciò una buona idea per un oncologo.
Il lavoro ora pubblicato dimostra che questa idea funziona. Si scopre che l’indolo-3-carbinolo (I3C), un composto organico tipico delle piante crucifere come i broccoli, è un potente inibitore della funzione di WWP1: rimette in funzione il freno PTEN, e inibisce la crescita di tumori nel topo.
Possono certo rallegrarsi i sostenitori del potere anti-cancro dei broccoli. Potremmo anche spiegare alla signora di New York che i broccoli da lei regolarmente consumati semplicemente non erano abbastanza: per un dosaggio efficace di I3C occorrerebbe mangiarne qualche chilo al giorno; ma ora, sapendo di che cosa si tratta, non sarà difficile preparare compresse o fiale con dosi adeguate di I3C. Non so se questa sostanza si presterà di più alla prevenzione o alla terapia, o quando diventerà un farmaco da utilizzare in oncologia clinica: di solito occorrono anni per passare dal banco del laboratorio al banco della farmacia. Ma conoscendo la vocazione e l’energia incoercibile di Pandolfi, mi sento di dire che i tempi saranno ridotti al minimo necessario, compatibilmente con il rigore scientifico e con serie valutazioni di efficacia.
Terapia mirata è lo stato dell’arte in oncologia: significa riuscire a colpire, nella cellula tumorale, un bersaglio così specifico che le cellule normali restano illese, tanto da abolire la tossicità del trattamento. Finora la ricerca ha preferito puntare su molecole che hanno come bersaglio gli oncogeni e le loro mutazioni; ma come si è visto dall’esempio qui narrato, la rete di meccanismi – acceleratori, freni e contro-freni – che fanno la differenza tra crescita cellulare normale e la crescita smodata del cancro sono complessi e delicati.
Bloccare artificialmente un acceleratore può andar bene; ma rimettere in funzione, come fa I3C, un freno fisiologico, recuperando cioè un meccanismo naturale di controllo della crescita cellulare, potrebbe andare ancora meglio.