La Stampa, 2 giugno 2019
Cronaca di un viaggio in robot-taxi
Il robot che venerdì mi ha accompagnato al lavoro è stato molto cortese. Non si è offeso, quando via smartphone gli ho inviato il brusco ordine di venirmi a prendere su San Marcos Place, qui a Chandler, in Arizona. È arrivato all’ora promessa e si è fermato dove lo aspettavo. Non ha perso tempo in chiacchiere inutili, quelle che in questi casi si fanno solo per ipocrisia. Non ha offerto commenti sul tempo, che tanto quaggiù è sempre solare, e non si è impicciato del mio umore. Non ha parlato nemmeno dell’ultima partita di calcio. Ho solo pigiato un tasto digitale, sullo schermo montato alle spalle del sedile anteriore, e lui è partito. Durante il viaggio l’ho ignorato, potendo così parlare con Julianne McGoldrick, la responsabile delle comunicazioni di Waymo che mi spiegava il progetto. Quando siamo arrivati non ho perso tempo a ringraziarlo, anche perché a lui non fregava niente del mio apprezzamento per il suo lavoro. E ciò nonostante si fosse comportato alla perfezione, depositandomi con puntualità e sicurezza dove volevo andare. Perché lui è un robotaxi, e bada al sodo. Noi invece siamo esseri umani, che liberati dall’incombenza di fornire questi servizi, avremo più tempo ed energie per adoperare la nostra qualità che ancora funziona meglio di qualunque computer: la creatività.
I minivan Pacifica
Chandler è la città dove nel dicembre scorso la società di Alphabet ha avviato Waymo One, servizio di robotaxi offerto al pubblico usando i minivan Pacifica della Fiat Chrysler. Google aveva iniziato gli esperimenti con le auto a guida autonoma dieci anni fa, ma ormai il futuro è tra noi. Gli utenti che lo vivono ogni giorno solo oltre mille. Gente come Nicole Duenas de Cadenas, madre di 28 anni, che usa il robotaxi per portare dal pediatra il figlio neonato Seth: «Funziona meglio degli altri servizi e garantisce la sicurezza. Se fossi in ritardo su un taxi normale, magari spingerei l’autista a correre, esponendoci al pericolo. Qui mi metto l’anima in pace, so quando parto e quando arrivo, e invece di guardare la strada dedico il tempo a mio figlio».
Gli utenti di Waymo One sono selezionati tra i residenti di Chandler che fanno richiesta. Ricevono un’app simile a quelle di Uber, Lyft o Via, con cui chiamano i robotaxi. Una volta a bordo premono il tasto “start ride” e l’auto parte. Se hanno problemi, il pulsante help li collega all’assistenza, e se vogliono fermarsi prima pigiano “pull over”. Il prezzo è basato su distanza e tempo, ma Nicole assicura che «è più economico degli altri taxi».
La tecnologia usata sui Pacifica è quella sviluppata da Google negli ultimi dieci anni, percorrendo 10 milioni di miglia in 25 città, e 7 miliardi di miglia nei simulatori. Il cuore è il software del computer di bordo, che riceve gli ordini dei passeggeri, e sulla base delle informazioni a sua disposizione sceglie come soddisfarli. I dati li riceve dal sistema laser LiDAR, che invia raggi per misurare la distanza da altre superfici presenti nelle vicinanze; i radar, che vedono tutti gli ostacoli a breve e lunga distanza; i sensori, che individuano le presenze più ravvicinate e ascoltano i segnali audio, tipo le sirene della polizia; le telecamere, che distinguono i colori dei semafori o riconoscono i bus scolastici. Il percorso viene deciso attraverso il gps, creato con una mappatura delle strade che Waymo ha disegnato apposta, perché è molto più dettagliata. Viaggiando, se vuoi, vedi tutto ciò in tempo reale sullo schermo che hai davanti.
Quando Julianne mi concede «l’onore» di premere il tasto dell’avvio, per un attimo mi chiedo chi me lo faccia fare. Poi però il volante inizia a girare da solo, l’auto affronta con prudenza il primo incrocio con semaforo, e ci scordiamo in fretta che guida un robot. Sul posto anteriore c’è il pilota Charlie, perché in questa fase di sperimentazione vengono ancora usate le persone per garantire la sicurezza. L’obiettivo però è farne a meno, e per le vie di Chandler già circolano i Pacifica completamente autonomi, ma senza passeggeri. Qui vicino, a Tempe, è avvenuto l’incidente in cui un’auto autonoma di Uber ha investito e ucciso una donna. Waymo però è convinta che la sua tecnologia ed esperienza siano superiori. Ha condotto anche test con la polizia, simulando tutte le emergenze più improbabili, per vedere come reagivano le auto. A proposito: in caso di multe paga la compagnia, se la macchina viaggia in modalità autonoma, o l’autista, se è manuale.
La convenienza sta nella statistica. Ogni anno nel mondo muoiono 1,35 milioni di persone, per incidenti causati nel 94% dei casi da errori umani. Per la società il prezzo di lasciare gli uomini al volante è 594 miliardi di dollari per le vite perdute, 277 per i costi economici, e 160 miliardi per carburante e tempo sprecato. Se i robot riducessero gli incidenti anche solo del 10%, salverebbero 135.000 persone all’anno. A Chandler ora sono cominciati anche i test con i camion, e Waymo non esclude di espandere i robotaxi in Europa. Nel giugno del 2018 i Pacifica sono stati provati in Italia, sulla pista della Fca a Balocco.
Mentre chiacchieriamo di queste robe distratti, il robot avverte che siamo arrivati a destinazione: «Non dimenticate le vostre cose nell’auto, e guardate fuori dal finestrino prima di scendere». Poi compie la manovra di parcheggio, che a molti sarebbe costata l’esame per la patente. Al modico prezzo di 7 dollari e 49 centesimi, sono sopravvissuto al mio giro nel futuro presente.