Corriere della Sera, 2 giugno 2019
Ricordo di piazza Tienanmen
«Bisogna uccidere coloro che debbono essere uccisi, condannare coloro che debbono essere condannati», disse il vecchio rivoluzionario e vicepresidente Wang Zhen nella sala di una palazzina in stile imperiale di Zhongnanhai, a poche decine di metri da Piazza Tienanmen. La strage era già stata compiuta e i dirigenti del Partito stavano discutendo la linea.
Tutto fu deciso dietro le mura che chiudono alla vista Zhongnanhai, il quartier generale del potere comunista, un tempo giardino imperiale accanto alla Città Proibita. Deng Xiaoping era lì con i compagni dirigenti quando a metà aprile del 1989 i primi gruppi di cittadini cominciarono ad affluire in Piazza Tienanmen per accumulare (sotto il Monumento per gli eroi del popolo) fiori e poesie in memoria di Hu Yaobang, l’ex segretario del Partito estromesso per liberalismo e morto per un attacco di cuore il 15 aprile. Fu a Zhongnanhai che fu decretata la legge marziale il 18 maggio, quando il movimento ormai chiedeva riforme, la fine della corruzione e della censura e l’uscita di scena dei «vecchi» aggrappati al potere anche dopo la pensione. Fu da Zhongnanhai che fu dato l’ordine ai soldati di «ripulire» la piazza nella notte tra il 3 e il 4 giugno: la strage con mitragliatrici e carri armati. E fu ancora dietro quelle mura rosse che si riunirono tra il 19 e il 21 giugno i mandanti della repressione.
Trent’anni dopo, la censura continua a cancellare ogni tentativo di commemorazione a Pechino. Ma a Hong Kong, che mantiene la sua autonomia semi-democratica, è appena stato pubblicato un libro con le trascrizioni finora segrete dei discorsi tenuti dai membri del Politburo in quei giorni.
The Last Secret: the final documents from the June Fourth crackdown si basa su trascrizioni conservate e fatte filtrare ora da un funzionario presente alla discussione. Non si sa quanti fossero i partecipanti a quella riunione del Politburo, allargata agli «anziani ex dirigenti» che ancora manovravano dietro le quinte, quelli che gli studenti avevano sperato di far uscire di scena per sempre. Sono 17 le voci. Tutti cominciarono proclamando: «Sono completamente d’accordo», «Sostengo assolutamente» la decisione del compagno Deng Xiaoping di mobilitare l’esercito «per porre fine ai tumulti anti-partito e agli atti controrivoluzionari».
Wang, che chiedeva condanne ed esecuzioni capitali, fu appoggiato da Xu Xiangqian, ex grande maresciallo dell’Esercito di liberazione: «I fatti hanno provato che la confusione e i tumulti sono dovuti al collegamento tra forze interne e straniere, frutto del rifiorire della borghesia che aveva come obiettivo l’instaurazione di un regime anticomunista vassallo di potenze occidentali».
Il milione di studenti e cittadini che erano stati in Piazza Tienanmen per cinquanta giorni furono bollati da Peng Zhen, ex presidente del Comitato centrale del Congresso del Popolo, come «un piccolo gruppo che, collaborando con forze straniere, voleva abbattere le pietre angolari del nostro Paese». Un tema ripreso da molti: «Quarant’anni fa il segretario di Stato Usa Dulles disse che la speranza di restaurare il capitalismo in Cina era riposta nella terza e quarta generazione nata dopo la nostra Rivoluzione: non dobbiamo permettere che la profezia si avveri».