il Fatto Quotidiano, 1 giugno 2019
Federica Sciarelli parla del caso Pamela Prati
Dopo il buongiorno e i giusti convenevoli, Federica Sciarelli chiede spazio per una premessa; improvvisamente quella premessa diventa un’onda che monta, e monta, e monta, fino a quando rallenta, sorride, si conosce bene, domanda: “Ho parlato troppo? Sono così, quando ci credo non mi fermo, ma un punto deve essere chiaro: l’invito in trasmissione di Pamela Prati è stato una provocazione”. Per cosa? “L’obiettivo era di far emergere un dramma che trattiamo da tre anni, quello delle ‘truffe romantiche’ o ‘truffe affettive’, che purtroppo non hanno ancora ottenuto l’attenzione necessaria come per altri casi trattati da Chi l’ha visto?; è una piaga sottovalutata”.
Riepilogo: nell’ultima puntata del programma condotto dalla Sciarelli, al solo annuncio di Pamela Prati in trasmissione, protagonista di una finta love story con tal Mark Caltagirone, è scoppiata la buriana da parte di affezionati, cultori, giornalisti, commentatori e affini per giudicare se fosse giusta o meno l’ospitata. La Prati si è presentata, non ha parlato, si è mostrata tremante, dimagrita, poco soubrette; al centro le truffe.
Riflettori ancor più accesi su “Chi l’ha visto?”
È scattata la censura preventiva, hanno giudicato prima della messa in onda.
Bordate.
Eppure tutti discettano della vicenda Prati, l’atro giorno ho trovato una battuta pure nella rassegna stampa politica: “Il governo è inesistente come Mark Caltagirone”.
Quindi?
A me è servita per parlare delle nostre donne invisibili.
Cara è costata.
Mi sono un po’ stupita, ho trovato il tutto esagerato e il dibattito surreale.
Spiazzata.
No, sapevo cosa sarebbe successo, lo stupore è verso alcune reazioni e atteggiamenti.
Un esempio.
Il giorno della puntata è stato lo stesso della condanna all’ergastolo per Oseghale, reo di aver ucciso e trucidato Pamela Mastropietro.
E…
Sul nostro sito la maggior parte dei commenti erano sulla Prati, non su Oseghale, con frasi terribili e un odio sociale impressionante.
Insomma, una provocazione, la sua.
Sono tre anni che ci occupiamo di queste truffe, ma a differenza di altre nostre battaglie, come il revenge porn o l’omicidio stradale, non c’è la giusta attenzione, quasi si sottovaluta, ma sono vicende gravi, pericolose e con la mafia a gestirle.
Che mafia?
Le basi sono in Nigeria, Costa d’Avorio e Ghana. A Chi l’ha visto? arrivano in continuazione segnalazioni e denunce, recentemente una donna si è lasciata morire per il dolore e la vergogna.
Come si articola la truffa?
Rubano profili in Rete, creano storie, adescano sui social e da lì inizia un percorso che va a incidere sul desiderio di innamorarsi, ottenere attenzioni, sognare. Poi alla fine scatta la vergogna per esserci cascati. Attenzione: non capita solo ai brutti, agli anziani o alle persone prive di cultura; accade a chiunque.
Coinvolgono.
A un ragazzo siciliano, Massimiliano Titone, hanno rubato il profilo, quindi le foto con i nipoti o lui con la flebo in ospedale; gli scatti sono stati girati a circa 7.000 utenti e tramutati in: “Ecco i miei figli, sto male, mi hanno ricoverato, aiutami”.
Corteggiamenti lunghi.
E articolati, con una strategia ben congegnata: il primo livello tenta l’approccio, prova a strappare l’amicizia sui social; nel momento in cui ci riescono entra in gioco il secondo livello, quello più preparato, in grado di parlare la tua lingua. Lavorano 24 ore su 24, mandano messaggi anche ogni cinque minuti.
Irretiscono.
Un uomo ci ha contattato dopo aver effettuato un bonifico da 42 mila euro; alcuni pensionati inviano dai 1.000 euro a salire. Si rovinano.
Come li inviano?
Attraverso Western Union; una delle truffate è andata, e prima dell’invio di denaro la responsabile della sede le ha posto una domanda: “Mi scusi, conosce il destinatario?”.
Sospettava.
I profili sono sempre gli stessi, e probabilmente pure i destinatari. Secondo me Western union dovrebbe attaccare le foto all’entrata, si limiterebbero i casi.
È stata molto criticata per la scelta della Prati.
Non sono una pischella (donna giovane): sono 30 e passa anni che lavoro a Rai3, e ho vissuto periodi complicati, come quando ci accusavano di essere TeleKabul o i nipoti di Stalin, o i politici che mi piazzavano la mano sul microfono “con lei non parlo”.
Allora…
Gli attacchi mi danno energia: avevo un obiettivo e l’ho centrato.
Necessario.
Ripeto: questo argomento ancora non genera la giusta risposta dalle istituzioni.
Come mai?
Ci penso.
Forse perché l’Italia è il Paese dei furbetti, e pensano: “Colpa tua se ci caschi”.
Davvero, non si ha idea di quanto è dilagante; recentemente mi è arrivata la storia di una plurilaureata e psicologa, finita nella rete.
È stata sbeffeggiata dai colleghi di altre testate.
Non voglio sapere, non importa.
Dicono che è una “fighetta radical chic”, che ama “gli aperitivi alla moda”.
Chi, io?
Sì.
Mai preso uno, il tempo libero lo passo correndo, in bicicletta, pattino sul ghiaccio o con il cane. E vesto male.
Ha pagato la Prati?
Non do soldi ai testimoni, è una questione deontologica, altrimenti potrei venir accusata di plagiarli. E la Prati non mi ha mai chiesto nulla. Mai.
La conclusione?
Si chiama Caterina e aveva 67 anni; era una donna sola, malata di diabete. Chattava. Un giorno viene irretita e la sua vita cambia: il vicino e amico improvvisamente la scopre più curata e sorridente, un uomo virtuale le offriva attenzioni. Così Caterina prosegue nel suo percorso, esaudisce le sue richieste, migliaia di euro inviati, la promessa di un matrimonio, l’appuntamento in aeroporto, il parrucchiere la mattina per offrire il meglio di sé. Ovviamente non si è presentato nessuno, e l’amico l’ha trovata esanime in casa, dopo una dose letale di dolci. È morta in ospedale. Ecco, il mio obiettivo era ed è questo: voglio che il pubblico sappia la storia di Caterina e che finalmente la gente capisca.