Robinson, 1 giugno 2019
Il rock e l’economia
Alan era più profondo dei numeri e dei grafici. Vedeva la politica economica non come una questione di teorie astratte, ma come un modo per migliorare la vita delle persone». Così Barack Obama ha ricordato la figura di Alan Krueger, il suo ex consigliere che si è tolto la vita il 16 marzo scorso all’età di 58 anni. Non si conoscono le ragioni di quel gesto, che ha creato uno shock nella comunità degli economisti, dove Krueger era considerato una delle menti più brillanti della sua generazione. Tra gli studi importanti a cui si dedicò, c’è una dimostrazione empirica che l’aumento del salario minimo non riduce l’occupazione. C’è anche un’accurata indagine statistica sui terroristi: smentisce il luogo comune secondo cui sarebbero motivati da emarginazione e miseria (la maggior parte viene da ambienti familiari benestanti). Prima di essere il capo dei consiglieri economici alla Casa Bianca di Obama, Krueger era stato il numero due del Tesoro negli anni cruciali in cui l’Amministrazione democratica trainò l’America fuori dalla crisi (2009-2010). È sua anche la famosa “curva del Grande Gatsby”, con cui dimostrava che le diseguaglianze di oggi sono tornate ai livelli degli anni Venti del secolo scorso, con gli stessi effetti disastrosi sulla mobilità sociale e sulla crescita.
Prima di andarsene Krueger ci ha lasciato questo gioiello di saggio dove torna a occuparsi del suo tema favorito, le diseguaglianze. Lo fa con la sua capacità di rendere divertente l’economia: partendo dalla musica rock. Non è il primo a cimentarsi con questa contaminazione. Quando io cinque anni fa usai le canzoni dei Beatles per spiegare l’economia, tra le mie fonti citavo Jaron Lanier, tecnologo della Silicon Valley che ha studiato l’effetto di Internet nell’impoverire la stragrande maggioranza dei musicisti. Kruger ha portato questo esercizio molto più avanti. Ha fatto della musica rock un laboratorio di quel che accade all’economia tutta intera: dove poche” star” catturano gran parte della ricchezza creata, mentre gli altri scivolano verso il basso. I musicisti rock hanno visto accadere nel loro campo lo stesso fenomeno che riguarda i chief executive delle imprese: in pochi si accaparrano una quota smisurata e crescente del profitto aziendale, a prescindere dai loro meriti reali. ( Nel caso degli chief executive non c’è neppure la scusante che «il pubblico li ha prescelti», visti i meccanismi oligarchici di cooptazione fra top manager). In questo libro prezioso, Krueger sottolinea la deriva élitaria che è accaduta nel mondo della musica. L’effetto- superstar è relativamente recente: l’un per cento degli artisti che si esibiscono in concerti dal vivo hanno aumentato la loro quota degli incassi totali dal 23% nel 1982 al 54% nel 2003, per raggiungere il 60% nel 2017. Qualcosa di molto simile si verifica anche nei guadagni dallo streaming.
Krueger cominciò a occuparsi del fenomeno molti anni fa, animato dalla passione per la musica. Diede un’anticipazione di questa analisi nel 2013, in una conferenza tenuta al Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland. Già allora nel titolo appariva il tema «come ricostruire il ceto medio». Lo scopo di questo lavoro infatti è di affrontare alla radice le diseguaglianze generali, partendo dai meccanismi in atto nel mondo della creazione artistica. Krueger fu uno dei primi a generalizzare il termine «gig economy», nato per designare gli ingaggi occasionali dei musicisti jazz: oggi lo usiamo per gli autisti di Uber, i ciclisti delle consegne, il mondo sempre più vasto del precariato e dei lavoretti senza tutele. Nelle diseguaglianze estreme, nell’arricchimento concentrato in poche élite, non c’è nulla di «naturale». Non è affatto inevitabile che l’economia di mercato produca questi risultati: negli anni Sessanta gli Stati Uniti erano un’economia capitalista ma le diseguaglianze erano molto inferiori a quelle odierne. Krueger elenca quattro fattori che sono all’origine di questa deriva: tecnologia, gigantismo aziendale, fortuna, infine «l’erosione di norme sociali che controllavano i prezzi e i redditi». Quest’ultimo è probabilmente il suo contributo più originale. Chiama in causa il paragone con una Età dell’Oro in cui il capitalismo occidentale era più equo e inclusivo, il trentennio dopo la fine della seconda guerra mondiale. Agirono allora potenti «norme sociali», che rendevano inaccettabili i comportamenti rapaci dei top manager attuali. Il patto sociale si fondava sul riconoscimento di appartenere alla stessa comunità.
L’evoluzione politico- ideologica, dal liberismo reaganiano in poi, ha stravolto quelle norme etiche e comportamentali. La correzione di rotta deve coinvolgere la politica, riformare il fisco. Ma Krueger sottolinea che gran parte del lavoro va fatto nel settore privato: è nel mondo delle aziende che norme e valori sono stati pervertiti.