Robinson, 1 giugno 2019
Sesso, bugie e kalashnikov
La confessione di un vedovo di razza bianca”. È il sottotitolo di Lolita, annunciato da Vladimir Nabokov come memoria difensiva di un prigioniero.” Vostro Onore”, ripete con insistenza Kailash, protagonista di L’educazione sentimentale di AK- 47. Nato in un poverissimo villaggio dell’India arriva negli Stati Uniti per studiare ( i genitori, confessa, erano ormai “rassegnati a mangiare pane e sale per il resto dei loro giorni"). Kailash diventa Kalashnikov, nel soprannome affibbiato da un compagno di università, e poi AK-47. Il giovanotto si immagina torchiato da un Tribunale dell’Immigrazione, a cui raccontare la verità, nient’altro che la verità.
Il romanzo di Amitava Kumar, giornalista e scrittore che oggi insegna letteratura inglese al Vassar College, è la confessione di un giovanotto di pelle scura, con il sesso come pensiero fisso. Vale soprattutto per i primi capitoli, i più ironici e originali, quando l’America degli anni ’ 90 si svela a Kailash con la voce della dottoressa Ruth, ebrea tedesca che teneva la popolare rubrica radiofonica” Sexually Speaking”. Un paradiso ricco di promesse, per un giovanotto assatanato ma vergine: gli amici rimasti in India attendevano l’annuncio in codice: “ho mangiato la ciliegia”.
Accade con Jennifer, conosciuta alla libreria universitaria dove Kailash lavorava, spacciandosi come poeta ( per questo non c’era bisogno dei consigli della dottoressa Ruth, e neppure di Cosmopolitan). Galeotto fu un documentario, puntualmente annotato nella cronaca:
Roger & Me di Michael Moore. L’educazione cinematografica continua con l’applauso a Thelma & Louise (certo, quando Susan Sarandon spara al violentatore). Kailash vorrebbe contrattaccare con un film del regista indiano Satyajit Ray, ma li trova inadatti agli appuntamenti galanti.
A Jennifer è dedicato il primo capitolo di L’educazione sentimentale di AK-47, titolo che reinventa l’originale Immigrant, Montana. Un gioco di parole, scopriamo alla fine, sulla comunità di Emigrant, Montana, non lontana dal parco di Yellowstone. Kailash ci va con Nina, la sua seconda ragazza americana, e una scorta di audiolibri, altra novità Usa da sperimentare. In un motel ascoltano Jeremy Irons che legge Lolita: così Amitava Kumar paga il suo debito al russo che si fece americano.La confessione avanza, i bollenti spiriti si placano – con la prima amante Kailash aveva sperimentato ginnastiche da film porno (e tanti saluti al patrioKamasutra che avrebbe fornito suggerimenti altrettanto gustosi). Arrivano i tormenti della gelosia e l’amore non corrisposto:” Il mio cuore si era trasformato in una ranocchia ed era schizzato dal corpo”.
Poi il personale si fa politico, entrano in scena le lotte per l’indipendenza dell’India, la politica di Kissinger e di Bush, la guerra in Iraq, la scrittrice Grace Paley che si batte per le energie alternative. La formazione si conclude a Pechino: di mezzo c’è sempre una ragazza – la cinese Cai Yan che illumina Kailash sulla Rivoluzione Culturale. Ma ormai l’andamento saggistico prevale sul romanzesco.
Anche a dire romanzo, bisogna andarci piano. L’inserimento di fotografie, disegni e ritagli di giornale, con le note a fondo pagina e la bibliografia, indirizzano verso il modello W. G. Sebald, a metà tra il memoir e il saggio. La nota finale richiama ai distratti Fame di realtà di David Shields: un forsennato remix di testi altrui, senza citare la fonte. Nelle intenzioni, un manifesto per la letteratura a venire, senza distinzioni tra i generi e costruita con i campionamenti (gli scrittori hanno subito applaudito, i lettori sono rimasti assai freddi). Kailash sperimenta gli Stati Uniti, e con altrettanta foga Amitava Kumar sperimenta tutti gli ibridi narrativi in circolazione.
Le digressioni non sono una caratteristica dei nostri tempi frammentati (né hanno a che fare con l’attenzione ballerina e poco lineare). Le dobbiamo a Laurence Sterne, che a metà del settecento, con Vita e opinioni di Tristram Shandy, inventò il postmoderno quando il moderno ancora non esisteva. Amitava Kumar divaga con vivacità quando ricorda il mar delle storie indiano, tra scimmie suicide e vergognosi delitti. O la famiglia che attende le costose chiamate internazionali. I genitori non avevano il telefono, andavano dai vicini, il trucco era far cadere la linea quasi subito, la centralinista per scusarsi concedeva qualche minuto gratis.
Molto meno vivaci sono le divagazioni accademiche, lezioni e ricerche assegnate dal professor Ehsan Ali. O la biografia di Agnes Smedley, attivista per l’indipendenza indiana, cronista della rivoluzione cinese, spia per i sovietici, femminista. Pagine che si abbattono sul lettore catturato con più seducenti promesse. Ogni traccia di pop scompare. Un solo dettaglio spezza la didattica monotonia: l’osservazione che Thomas Jefferson scriveva lettere d’amore molto più lunghe della Dichiarazione di Indipendenza.