Tuttolibri, 1 giugno 2019
Rileggiamo Keynes
Nell’ ultimo decennio, l’economia globale si è trovata a fronteggiare una gravissima crisi economica e finanziaria: instabilità dei mercati, prodotto in forte rallentamento o in recessione, nuove forme di disuguaglianza e disoccupazione. La maggioranza degli osservatori pensa che la crisi abbia cause finanziarie. Una minoranza pensa che il disordine finanziario abbia ancor prima radici nell’economia reale e nei grandi squilibri globali. Le politiche economiche e soprattutto monetarie hanno probabilmente evitato il peggio, ma i danni prodotti e le reazioni politiche e sociali sono ancora assai acuti. In parallelo, la crisi ha minato le certezze degli economisti e la ricerca si è frammentata, senza avere ancora ritrovato una visione generale capace di spiegare l’accaduto e di gestire al meglio rischi futuri.
In questa situazione di indubbia confusione, Mondadori ripubblica la Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta di John Maynard Keynes. Il volume, che appare nella collana I Meridiani, contiene anche altri scritti dello stesso autore, precedenti e successivi alla Teoria Generale, nonché una bella introduzione di Giorgio La Malfa intitolata Saggezza nuova per una nuova era. Il progetto editoriale, infatti, non si limita a riproporre in italiano un grande classico dell’economia, ma vuole presentare alcuni aspetti innovativi del pensiero di Keynes, utili per riflettere sulle sfide più complesse di oggi, a livello nazionale e internazionale.
La Teoria Generale, pubblicata originariamente da Macmillan nel febbraio del 1936, è un libro rivoluzionario, figlio della grande crisi del 1929 e dell’ingegno del suo autore. Non è un libro di facile lettura, ma è un contributo veramente fondamentale. Contiene una nuova teoria della disoccupazione e i suoi elementi costitutivi in forma di capitoli, quasi tutti ricchi di contributi originali: la teoria delle aspettative, che si rifà a David Hume; una teoria del risparmio e dell’investimento; la teoria del consumo; la teoria del tasso di interesse; la teoria dell’occupazione.
L’insieme è un quadro profondamente innovativo che rappresenta un paradigma alternativo rispetto all’economia tradizionale. In aperta contrapposizione con la teoria ortodossa, che prevede la piena occupazione e deviazioni soltanto temporanee da questa, Keynes mostra che la disoccupazione può essere un fenomeno cronico, che dipende dalla carenza di domanda effettiva. Per un insieme di motivi, reali, monetari e psicologici, il reddito di equilibrio non corrisponde infatti alla piena occupazione, ma è determinato dalla domanda che può essere insufficiente, per via di investimenti insufficienti. L’investimento, infatti, non dipende soltanto dal reddito e dal risparmio, ma dipende da molteplici fattori come l’efficienza del capitale, la liquidità, il credito, le aspettative e l’incertezza. L’investimento, a sua volta, determina il reddito e l’occupazione.
Nella teoria ortodossa, la piena occupazione è garantita dall’equilibrio spontaneo delle variabili reali, mentre la moneta determina soltanto l’inflazione. Nella teoria keynesiana, la piena occupazione si verifica soltanto quando «per accidente o per scelta» l’investimento determina un volume di domanda effettiva proprio uguale all’offerta di piena occupazione. Se l’investimento è insufficiente, per motivi psicologici, monetari o finanziari, serve l’intervento pubblico, normalmente con spesa pubblica per investimenti. Il periodo di depressione successiva al 1929, con elevati tassi di disoccupazione in tutto il mondo occidentale, costituiva il fertile terreno per l’affermarsi delle nuove idee. Il New Deal di Roosevelt, iniziato già nel 1933-34, ne era l’incarnazione pratica.
Quando ero studente a Cambridge, nei primi anni ottanta, il gruppo storico degli allievi di Keynes, che erano ormai molto avanti negli anni, ne tramandava con gelosia la tradizione. Richard Kahn, Nicholas Kaldor, Joan Robinson avevano visto e commentato con Keynes la genesi della Teoria Generale. In un ambiente culturale molto vivace, ma forse un po’ isolato, si discuteva dei diversi capitoli della Teoria Generale, in coerenza con gli scritti precedenti e gli sviluppi successivi.
Ma il mondo che cambiava, proprio in Inghilterra e negli Stati Uniti dalla fine degli anni Settanta, con l’avvento dell’ inflazione a due cifre, con il grande ciclo politico liberista e con la crisi fiscale dello Stato, facilitava il riaffermarsi delle teorie ortodosse di piena occupazione, di autoregolazione del sistema e in generale di monetarismo e laissez faire. Naturalmente, la nuova teoria ortodossa si presentava in versioni più moderne rispetto agli anni trenta, ma era fondamentalmente diversa dalle idee di Keynes. A onor del vero, fin dalla pubblicazione originaria della Teoria generale si erano tentate sintesi tra il pensiero keynesiano e quello ortodosso. I proponenti definivano questi tentativi «sintesi neoclassica»; i veri Keynesiani la chiamavano «keynesismo bastardo», ma una rilettura di Keynes mostra che questi tentativi erano sostanzialmente illusori e favorirono sostanzialmente la ripresa del pensiero ortodosso.
Con la crisi del 2008, il mondo è radicalmente cambiato. Dopo decenni «ruggenti», i mercati finanziari hanno generato una notevole instabilità. La fragilità degli intermediari ha richiesto massicci interventi a carico del contribuente. Molti paesi sono entrati in recessione con un aumento della disoccupazione e della disuguaglianza. La reazione politica è stata notevole e in molti paesi ha assunto caratteri sovranisti e populisti. In generale il paradigma economico liberista si è rotto.
Le ricette per affrontare la crisi sono state divergenti. Negli Stati Uniti si sono salvate le banche e sostenuti i redditi. La politica monetaria tenta con difficoltà di tornare al normale. Il tutto ha in qualche modo mitigato le conseguenze della crisi. Ciò nonostante Donald Trump ha vinto le elezioni del 2016 e adottato ricette economiche di rottura rispetto ai decenni precedenti, a partire dal protezionismo. L’Europa ha proseguito con un mix di politiche di espansione monetaria e austerità fiscale accompagnate da una regolamentazione molto stretta del settore finanziario. I due sistemi economici hanno imboccato strade divergenti con l’Europa che ancora stenta a trovare la via della crescita e della piena occupazione.
Dai tempi di Keynes, come si diceva, tutto è diverso. Il mondo è globalizzato, interconnesso, con un grande stock di capitale reale e finanziario. E tuttavia alcuni pezzi dell’analisi di Keynes paiono preziosissimi, come suggerisce questa nuova edizione della Teoria Generale. In particolare, è oggi accertato, i sistemi finanziari e economici possono avere gravi episodi di instabilità da cui escono soltanto con politiche pubbliche. Non si tratta di episodi frequenti ma profondi. Periodi prolungati di scarsi investimenti e disoccupazione possono esistere e richiedono correzioni. L’austerità in tali periodi è una ricetta che lascia molto perplessi. L’incertezza e la trappola della liquidità dominano le decisioni di investimento. È difficile sostenere che moneta e mondo reale siano sconnessi o che la moneta determini unicamente l’inflazione. Alcuni fallimenti della politica economica inducono anzi a cercare nuovi schemi di riferimento, come la Moderna Teoria Monetaria spesso citata nei dibattiti più recenti.
Più in generale, il nuovo mondo richiede un nuovo pensiero o paradigma economico. Perché solo con questi potremo gestire una realtà molto complessa. Vale dunque la pena di leggere Keynes e immaginare una nuova teoria partendo anche da alcune sue intuizioni. E partendo dal suo metodo, di cercare senza pregiudizi un modo di comprendere la realtà.