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 2019  giugno 01 Sabato calendario

Intervista a Kadarè

La morte è il momento limite della vita umana, nessuna parola è alla sua altezza. Eppure non è pensabile l’arte, e in modo particolare la letteratura, senza considerare il suo rapporto con la morte, il suo tentativo di affrontarla». Il più grande scrittore e poeta albanese, Ismail Kadare, la pone davanti a Gjorg, il protagonista di Aprile Spezzato, romanzo del 1978, «uno dei tre o quattro a cui sono più legato» – racconta, ripubblicato ora in Italia, per la prima volta tradotto direttamente dall’originale. Con la difficoltà di rendere in un’altra lingua e in un’altra cultura quello che sugli altopiani settentrionali del Paese si dice con una sola parola, «besa»: il rispetto dei patti, delle regole e dell’ordine, della parola data. Ha intimamente a che fare con l’onore e con l’ospitalità, fra quanto vi è di più sacro per la tradizione albanese, ma anche con la vendetta e con il sangue. È quello che spetta a Gjorg, vendicare il fratello, vittima di una faida fra famiglie, sapendo che poi a sua volta verrà ucciso, perchè così vuole il Kanun, il diritto consuetudinario, tramandato oralmente per millenni, temuto e rispettato dalle genti del Nord, soprattutto prima dell’avvento del comunismo. È la legge ancestrale che regola le controversie sui confini dei pascoli, decide della vita e della morte di chi vive su quelle montagne punteggiate di torri di pietra e miseria.
Kadare, ci spiega l’essenza del Kanun?
«Una delle espressioni più antiche della tradizione albanese, “le elegie dei morti”, mi ha sempre colpito. Il lamento riservato ai defunti non è una espressione di sofferenza spontanea, ma è ordinata da norme e forme precise. Il primo verso poetico della letteratura mondiale è l’inizio dell’Iliade di Omero “Cantami o Diva l’ira di Achille”. Solitamente i pianti cerimoniali per gli eroi albanesi iniziano con i versi: “Canta o musa la morte di…”. Questo topos si trova centinaia di volte nell’epos balcanico, e nella cultura albanese si chiama “Kanun”.».
Nel romanzo di fronte alla descrizione di regole talvolta spietate, così dolorose nella loro ineluttabilità, non c’è mai giudizio.
«Perché il Kanun non ammette nessun giudizio, è fuori dal tempo, appartiene a una realtà mitologica. Per questo è una grande materia romanzesca».
Le donne sono le sole escluse dall’obbligo di vendetta, ma per il codice costrette a sposarsi anche se in punto di morte. Qual è stato il loro ruolo nella storia del suo Paese?
«La donna albanese è stata più fortunata nell’arte che nella vita. Le sono state dedicate poesie e composizioni musicali di rara bellezza che non hanno avuto riscontro nella vita quotidiana. All’inizio del XX secolo, le nostre donne, invece di godere di una emancipazione propria di tutti i Paesi europei, hanno vissuto il periodo durissimo del socialismo, uno dei più spietati tra i regimi comunisti nel mondo. Sono state sottoposte a lavori oppressivi, malvagità, pregiudizi, assenza di considerazione. Veniva loro richiesta solo “fedeltà al partito” nel tentativo di creare il prototipo della “nuova donna”, che non era altro che una caricatura, opposta all’immagine cantata dalla musica e dalla poesia. Anche questo è Aprile spezzato».
Solo in apparenza sullo sfondo, ma in realtà dirompente, c’è la storia d’amore fra Gjorg e Diana. I loro occhi si guardano attraverso il finestrino di una carrozza e i loro destini cambiano per sempre.
«Aprile spezzato senza dubbio può essere considerato un “romanzo d’amore”, ma dove ogni cosa si frantuma».
Anche quando nelle pagine irrompe la morte violenta, il tono è sempre poetico, disincantato. Come concilia questi registri?
«Penso che questo abbia a che fare con la natura stessa della letteratura, e del suo rapporto con la vita reale. Può apparire rassicurante, ma questo solo a uno sguardo superficiale. A un pensiero più profondo, si coglie qualcosa di diverso, che prende il sopravvento. Questa è la forza della letteratura. Accade spesso che quanto nella vita risulta cupo, nell’arte non sia affatto così».
L’Amleto di Shakespeare è messo in parallelo con il protagonista Gjorg. Perché?
«Shakespeare senza dubbio è lo scrittore più oscuro degli ultimi secoli. Penso che non siano stati ancora pienamente compresi il suo mistero e la sua cupezza. Da piccolo lo leggevo e, incantato, copiai a mano tutto Macbeth. È l’autore che più mi ha influenzato e a cui torno costantemente. La letteratura è immaginazione, la letteratura è universale, è la verità sull’uomo, la dura verità: Shakespeare era l’opposizione ai sistemi comunisti nei paesi dell’Est».
L’Italia è stata vista come l’Eldorado dal popolo albanese. Oggi non è più così. Come guarda lei al nostro Paese?
«È stata la nostra opportunità, ma anche il nostro equivoco. In tanti anni di socialismo la nostra vicinanza non ci è stata di alcun aiuto. Un aspetto ulteriore che ha aggravato questo equivoco è stata la sinistra italiana, per lo più fedele all’Unione Sovietica. Era come avere l’Urss sull’altra sponda dell’Adriatico. La sinistra italiana è stata un ostacolo per noi, l’ho sempre pensato e non smetterò di ripeterlo».