Tuttolibri, 1 giugno 2019
Intervista ad Ali Smith
Per quanto possano valere queste classifiche, l’anno scorso è stata nominata, la migliore scrittrice inglese vivente (seguita da Hilary Mantel, Zadie Smith e l’ultimo Nobel Kazuo Ishiguro). Ali Smith, 57 anni, è una donna gentile e dolcissima, che a ogni libro raccoglie candidature a tutti i maggiori premi letterari di lingua inglese (ha vinto il Costa, il Goldsmith per la scrittura creativa, il Baileys per la narrativa al femminile, è perenne finalista al Man Booker Prize), ma che molti descrivono come burbera perché non le piace apparire. Fa raramente interviste e sostiene che a parlare per lei sono le sue parole scritte. Non ama il circuito letterario, le chiacchiere, i festival, internet, la televisione e tutte le occasioni in cui deve uscire allo scoperto e mettere il naso fuori dal suo cottage, dove vive con cinque gatti e la compagna Sarah Wood, regista e artista di cui si è innamorata negli anni Ottanta, quando frequentava l’università di Cambridge. Scozzese, nata a Inverness, da madre irlandese e padre puro sangue working class scozzese. È cresciuta in una casa popolare, ultima di cinque figli, sei anni di distanza dal fratello più giovane. «Sono stata davvero fortunata ad arrivare in una famiglia già formata, di cui ero parte ma anche no», dice. Inverness è a due passi da Loch Ness, per cui lei ha sempre creduto nel mostro del lago e sostiene che suo padre l’ha visto. Ali Smith è nel mezzo di una sfida creativa notevole, il progetto sperimentale di scrivere quattro romanzi dedicati alle stagioni, pubblicati in tempo reale rispetto agli avvenimenti del mondo.
Hai sempre sostenuto che le storie sono già lì e stanno solo aspettando di essere raccontate. Com’è accaduto con questo quartetto di stagioni?
«Esattamente come suggerisci tu. La parola Storia è formata da tante storie. E le storie, e la forma che assumono, sono antiche e contemporaneamente sempre nuove. Il romanzo (novel in inglese, ndr) si chiama così perché significa le cose nuove che accadono».
Pensi che sia una coincidenza che il quartetto arrivi proprio ora, in questi che definiamo “tempi interessanti”. Cosa ti ha spinto a scrivere praticamente in contemporanea con gli eventi?
«Avevo in mente quattro libri intitolati alle stagioni da quando ho iniziato a scrivere, più di due decenni fa. Quando l’ho proposto, il mio editore ha approvato il progetto, entusiasta. Così ho iniziato il primo libro, Autunno, alla fine del 2015. All’inizio del 2016 la Brexit non esisteva. Trump era uno scherzo. A metà 2016, Brexit esisteva e incombeva l’ombra di Trump. Sapevamo che sarebbe stato eletto, che i tempi stavano cambiando velocemente. I libri sulla contemporaneità avevano scelto di essere scritti in un’epoca in cui il contemporaneo si sta rapidamente trasformando. Ho sempre creduto nella tempistica dei libri, sono organismi viventi: il linguaggio stesso è un organismo vivente».
Come fai a gestire le scadenze per essere così attuale?
«La parola scadenza (deadline in inglese, ndr) fu usata per la prima volta nella guerra civile americana, per indicare la linea tracciata per terra sulla quale, se qualcuno faceva un passo, veniva colpito. Scadenze: vita, morte, urgenza. Nessun libro viene scritto senza tutti quelli precedenti. Nessun libro viene pubblicato senza una grande esperienza di editoria condivisa. Riguarda l’istinto, l’accordo, la realizzazione e la comprensione. È tutto connesso. Lo amo. Mi galvanizza».
Non pensi che un impegno così sia pericoloso per la tua creatività?
«È liberatorio. Tutto il tuo corpo, anche la pelle, si apre a ciò che il linguaggio sta facendo, strutturalmente e retoricamente. Ti dà fiducia».
Come organizzi il tuo lavoro?
«Con molta speranza e fede».
Porti sempre con te un taccuino per quando ti viene un’idea?
«Di solito me ne dimentico e finisce che – se prendo degli appunti – li scrivo sul retro di una vecchia ricevuta o sui margini di qualsiasi cosa o giornale che sto leggendo».
Fai schermi, mappe concettuali o cose del genere?
«Sono sempre fasulli, ma ogni tanto ci provo. Dopo li guardo e scuoto la testa per la mia stupidità. Simon de Beauvoir diceva da qualche parte che qualsiasi romanzo pianificato è un romanzo morto; perché ti dovresti prendere la briga di scrivere qualcosa di cui sai già la fine? Concordo, per esperienza».
Tutti i tuoi libri sono pieni di riferimenti ai classici latini e greci. Perché?
«Non lo so. Forse perché sono così dannatamente belli che saranno sempre rilevanti e presenti in tutto. Ecco perché sono dei classici».
Citando John Berger hai detto: il fascismo è ciò che accade quando un gruppo di esseri umani pensa di avere il diritto di decidere in merito al valore di un altro gruppo di esseri umani. Pensi che l’Europa stia andando in questa direzione?
«È la domanda e la sfida prevalente oggi. È la questione di come gestire il potere disumano di coloro che pensano di essere in diritto di possedere più degli altri, è la sfida di fermare persone miopi ed egoiste che fottono il nostro mondo con la stupidità industriale che distrugge il clima».
In questo momento di notizie false, pensi davvero che scrivere romanzi ti porti alla verità? Fiction, bugie e verità, come sono collegati?
«C’è una differenza cruciale tra menzogne e fiction, e la differenza è come sono correlate alla verità. Le bugie, per natura, vogliono sovvertire la verità. La fiction invece è uno dei modi migliori che abbiamo per arrivare alla verità, specialmente a quelle difficili da articolare. Dobbiamo essere in grado di leggere ciò che sta accadendo intorno a noi in questo momento, perché ha assunto una velocità digitale senza precedenti. Dobbiamo essere particolarmente attenti alle antiche manipolazioni, ai nuovi modi di narrare le nostre vite o alle nostre vite raccontate da altri».
Nella Gran Bretagna post-Brexit, uno dei tuoi personaggi dice che tutti sono arrabbiati con tutti gli altri. Cosa pensi dell’attuale stato della nazione?
«La nazione in cui vivo è in crisi esistenziale. Sta ricostruendo la sua identità. Nel rifacimento di questa identità, sento che almeno la metà delle quattro nazioni che negli ultimi secoli hanno formato questo Regno Unito andranno separatamente (Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord, ndr). Il Regno Unito si disunirà. Lo ha già fatto, in verità, le divisioni sono profonde, e nessuno ha fatto nulla per affrontarle».
Hai un’idea di cosa accadrà?
«Questi sono fatti locali e marginali, che accadono mentre un piccolo gruppo di persone potenti in rete in tutto il mondo usa una politica di divisione opportunamente e ripetutamente localizzata per distrarre le persone in tutto il mondo occidentale e, mentre le persone distratte guardano altrove e si preoccupano di fatti marginali o urlano di rabbia per la minaccia alla loro identità, usano le popolazioni locali per i loro fini e le taglieggiano allo stesso tempo».
Cosa avresti voluto essere se non fossi diventata scrittrice?
«Una persona che insegna a cantare ai gatti? Un venditore di libri tascabili di seconda mano? Un cane addormentato sul tetto di una casa su una piccola isola greca? Un imbianchino? Un raccoglitore di rifiuti? Un esperto di whisky? Un fotografo di nuvole? Sono solo alcune delle infinite possibilità».
Il tuo giorno libero ideale?
«Mi piace leggere. Amo viaggiare. Penso che le due cose siano collegate in modo ombelicale».