Il Sole 24 Ore, 1 giugno 2019
La stretta di Trump sul Messico
Una crisi esiste al confine meridionale degli Stati Uniti, annidata dietro le controverse politiche di Donald Trump. Ma è una crisi complessa, umanitaria e del sistema statunitense di gestione dei migranti. Non sono di per sé le cifre assolute a destare l’allarme più grave, anche se sono in ascesa, con circa centomila fermi al confine solo in aprile, maggio che dovrebbe mostrare gli arrivi massimi da dodici anni e, simbolicamente, un gruppo di oltre mille migranti intercettato mercoledì. Il dramma nasce dal fatto che si tratta sempre più spesso di famiglie con bambini, queste sì ai veri massimi storici, in cerca di asilo da violenza e miseria in Centroamerica – Guatemala, Honduras e El Salvador. Di carovane, facilitate da trafficanti di esseri umani, solo in transito attraverso il Messico. Di un fenomeno che i giri di vite draconiani contro il Paese confinante, a colpi di dazi o sanzioni, potrebbero rivelarsi impotenti a far davvero rientrare; mentre mettono a rischio cruciali rapporti commerciali riducendo semmai risorse e volontà politica collettiva per affrontare la sfida.
Lo spettro delle ripercussioni economiche incombe sulla nuova offensiva di Trump: il Messico potrebbe diventare il primo partner commerciale di Washington quest’anno, superando il Canada, l’altro partner nordamericano, e una Cina imbrigliata in molteplici conflitti con l’amministrazione Trump. Che ha visto il Messico finora presentarsi quale destinazione di ulteriori investimenti di imprese americane e globali – simili piani hanno marchi quali GoPro, Universal Electronics e Hasbro – in fuga da Pechino. Già l’anno scorso l’interscambio bilaterale Messico-Stati Uniti era stato di oltre 611 miliardi, con l’export Usa di merci verso meridione pari a 265 miliardi, più della somma dei flussi diretti verso Cina, Giappone e Germania, e un import di quasi 347 miliardi. Nelle scorse settimane una nuova spinta era scattata quando la Casa Bianca aveva cancellato dazi su acciaio e alluminio contro il Paese.
Le relazioni economico-aziendali sono inoltre strettamente intrecciate da decenni (il primo Nafta è del 1994), esponendo entrambe le nazioni a particolari shock. L’export messicano, diretto in gran parte negli Usa, è il 37% dell’economia del Paese. Visto da Nord, problema serio è che ben due terzi dell’import statunitense dal vicino è in operazioni inter-company di settori strategici quali l’auto con inestricabili catene di produzione e forniture: il 17% dei veicoli venduti negli Usa da Gm, Ford e Fca, tra cui redditizi pickup, è made in Mexico. Per Gm la percentuale sale al 22, per Fca al 18. Un iniziale dazio del 5% può tagliare gli utili annuali di case e società di componentistica del 10 per cento. La previsione di Trump che la misura, in una simile situazione, incoraggi invece un “positivo” reshoring negli Usa di attività messicane è giudicata poco credibile, piuttosto si ipotizzano danni generalizzati al Pil a causa di aumenti di prezzi e traumi commerciali.
A una simile posta in gioco si affianca quella umana, già esplosiva e irrisolta. Dei 1.036 migranti fermati mercoledì a El Paso in Texas, ben 934 viaggiavano con famiglia. Tra i centomila totali di aprile 58.000 avevano con sè familiari, terzo record mensile consecutivo dopo i 36.000 in febbraio e i 53.000 in marzo. Nell’attuale anno fiscale – iniziato a ottobre – le guardie di frontiera hanno riportato l’arrivo di 180 grandi gruppi, 46 solo in maggio per un totale di 9.200 migranti. Una potenziale escalation dopo che nell’intero anno passato i fermi al confine erano stati 400.000, con segni di aumenti mensili anzitutto di genitori con figli ma ancora distanti dal picco annuale di 1,6 milioni del Duemila, quando i flussi erano soprattutto di giovani adulti. Di questo passo, tuttavia, nel 2019 c’è chi prevede che l’1% della popolazione di Honduras e Guatemala possa cercar rifugio negli Usa e che il numero totale di arrivi tocchi il milione. E per la natura dei migranti questa potrebbe essere una crisi che sfugge a rapide soluzioni o editti a effetto.
Frutto di una miscela di ragioni di criminalità, oppressione e assenza di opportunità che manda in cortocircuito una rete di sicurezza e giudiziaria Usa impreparata a ondate di famiglie. Le autorità già ricorrono a detenzioni e accoglienze di fortuna, creando pericoli di tragedie (quattro minorenni sono morti dopo il fermo). Trump, oltretutto, ha finora mostrato scarso interesse per strategie e piani di cooperazione di lungo periodo, pur avviati dalla sua amministrazione con Messico e altri Paesi della regione: insoddisfatto della severità del suo stesso Dipartimento di Sicurezza interna, che ha in carico l’immigrazione, ne ha da poco ribaltato i vertici. E, prima dei dazi al Messico, aveva tagliato gli aiuti al Centroamerica, intesi a combattere le condizioni che spingono all’esodo.