La Stampa, 1 giugno 2019
La Gioconda desnuda
Ancora quel sorriso enigmatico, sfuggente. La stessa posizione del busto. E le mani si potrebbero sovrapporre. Da una parte un dipinto, la Gioconda, famosissima. Dall’altra un disegno a carboncino, la Monna Vanna o «Gioconda nuda», perché la donna stavolta non ha vestiti. Pure questa è opera di Leonardo da Vinci? Per anni ha prevalso il mistero. Poi di recente il Centro di Ricerca e Restauro dei musei di Francia (C2rmf), laboratorio all’avanguardia nel sottosuolo del giardino delle Tuileries, ha analizzato l’opera, agli infrarossi e non solo. Arrivando a una conclusione: «Il disegno è stato confezionato nella bottega del maestro», assicura Michel Deldique, «e probabilmente da Leonardo stesso».
Deldique è il direttore del museo Condé nel castello di Chantilly, una cinquantina di chilometri a Nord di Parigi, dove la Monna Vanna è conservata. E sua è stata la battaglia per assicurarne l’autenticità. Ha curato una mostra che apre i battenti oggi nel maniero: la ricerca del C2rmf viene ripercorsa come un’indagine poliziesca. Si addice a quella bruma evanescente che emana dalla foresta intorno al castello. Varie le ragioni che hanno portato ad attribuire il disegno a Leonardo (forse con uno o più allievi). «La filigrana del supporto rimanda a un tipo di carta utilizzata in quell’epoca in Toscana», spiega Deldique, «poi si notano dei “pentimenti”, delle correzioni: vuol dire che non è una copia ma un originale. E i tratteggi indicano che l’autore era mancino». Presenta, inoltre, la tecnica dello sfumato, tipica del genio, senza considerare la somiglianza con la Gioconda.
«Ma la modella non è la stessa, non è Monna Lisa», precisa l’esperto. «Il disegno è tra il ritratto e l’allegoria, una bellezza androgina che tende all’idealizzazione». I seni sono quelli di una donna. Ma il braccio in vista è muscoloso come quello di un uomo, forse un modello della bottega. Anche il viso ha alcuni tratti virili. «Leonardo giocava molto con un modello di bellezza sintesi di elementi maschili e femminili. Basti pensare al San Giovanni Battista». Sì, il dipinto conservato al Louvre: un uomo, ma i rimandi a una donna pervadono nella capigliatura e nelle forme del corpo. Il laboratorio francese ha anche cercato di datare Monna Vanna. È posteriore al 1503, quando il maestro iniziò la Gioconda. E probabilmente risale al periodo tra il 1513 e il 1516, quando lui si trovava a Roma ed ebbe una forte influenza sul giovane Raffaello (la sua Fornarina, quadro del 1518-19, ha diversi elementi in comune con la Gioconda nuda).
Il disegno sembra uno schizzo preparatorio. «Ma in quegli anni Leonardo ormai non dipingeva più così tanto», continua Deldique. «Forse non eseguì mai la tela. Ne fecero invece i suoi allievi». Come una Gioconda nuda conservata al Museo ideale di Vinci e un’altra all’Ermitage di San Pietroburgo. Fanno parte entrambe della mostra di Chantilly. «Servirono come modelli per ritratti simili durante il Rinascimento e oltre», conclude Deldique. Che, per l’esposizione ha raccolto una quarantina di esemplari, testimoni di una moda, compresa la splendida Dame au bain di François Clouet (1571). La Gioconda nuda dell’Ermitage era stata a lungo considerata opera di Leonardo. Ed è per questo che il disegno, visto come la base dell’opera, fu comprato nel 1862 da Henri d’Orléans, duca d’Aumale e appassionato collezionista, per una cifra astronomica, 7 mila franchi. Poi si appurò che la tela dell’Ermitage era opera di un suo allievo, mai identificato. E anche il disegno venne snobbato. Fino all’ultima scoperta.