La Stampa, 1 giugno 2019
Che c’¢è dietro l’irritazione grillina
La tregua armata post-elezioni è durata meno di una settimana. Il ministro dell’Economia aveva appena scritto la risposta alla lettera con cui la Commissione Ue chiedeva all’Italia di rimettere a posto i propri conti, quando ieri Di Maio ha dichiarato senza mezzi termini che Tria aveva agito senza concordare nulla con i 5 stelle, e anche Conte s’è seccato perché il testo era stato reso noto prima che lui lo leggesse. Tria ovviamente non sapeva nulla della diffusione del testo, rivelata forse ai suoi danni. Un ennesimo giallo nel venerdì di tensione, in cui anche l’Istat ha diffuso dati preoccupanti sulla congiuntura italiana. Ma la reazione grillina, rivolta non solo al responsabile dell’Economia, ma anche all’alleato-avversario, è nata perché il ministro giovedì aveva ricevuto una delegazione leghista, per parlare del problema, guidata da Salvini, che con questa sortita da padre padrone del governo ha irritato anche Palazzo Chigi. Il premier annuncia per lunedì una messa a punto dell’attività dell’esecutivo.
Nell’immediato, l’alt del vicepremier pentastellato è destinato a danneggiare il paziente lavoro di ricucitura tentato con il messaggio inviato da Tria alla Commissione. Un testo in cui il ministro, pur senza negare l’aggravamento dei conti pubblici, dovuto a suo giudizio in gran parte alla stagnazione economica e alla situazione internazionale, cerca di evitare una manovra correttiva che si risolverebbe necessariamente in un aumento delle tasse, e propone un articolato lavoro di rammendo, a base di efficienze e tagli sul welfare (leggi: reddito di cittadinanza e quota 100, le due misure-chiave introdotte con la legge di stabilità, ma anche gli 80 euro di Renzi, di cui si intuisce la prossima cancellazione), abolizione di agevolazioni fiscali, più attento monitoraggio delle entrate, anche grazie all’entrata in vigore della fatturazione elettronica. La sola ipotesi, non ancora messa nero su bianco, che i risparmi dovuti alle minori richieste del reddito (un miliardo di euro) vengano utilizzati per tappare altri buchi di bilancio, e non per il decreto famiglia come aveva annunciato, ha fatto saltare per aria Di Maio. Con il risultato che a Bruxelles adesso sì chiederanno a chi dare retta, se a Tria o al vicepremier.