Corriere della Sera, 1 giugno 2019
La cinquina del Campiello
padova «La qualità media dei libri proposti dagli editori è più alta rispetto all’anno scorso. Non solo cinque, ma anche altri meriterebbero di entrare in finale». Parola degli undici membri della Giuria letteraria del Campiello, in premessa alla votazione pubblica che si è tenuta ieri mattina nell’Aula Magna di Palazzo Bo dell’università di Padova.
Qualità, certo. Ma con punti di vista diversi sulla validità letteraria delle varie opere. «Fra noi c’è stata discussione ispirata al rigore e all’imparzialità», dice il presidente Carlo Nordio. «I criteri divergono, ognuno accende il suo faro sugli elementi che ritiene più interessanti. La dialettica è comunque positiva». A votazione chiusa, tuttavia, un dato non sfugge: nella cinquina degli autori finalisti – Laura Pariani, Paolo Colagrande, Giulio Cavalli, Francesco Pecoraro e Andrea Tarabbia – non c’è uno scrittore che si possa considerare davvero «famoso».
E sì che fra i numerosi presi in considerazione dalla Giuria (un elenco di 92 titoli) si leggono nomi come Edoardo Albinati, Paolo Giordano, Marco Missiroli, Emanuele Trevi… Non pervenuti: nessuno di loro ha raccolto un solo voto. Mentre, per dirne una, Antonio Scurati, con il suo M. Il figlio del secolo (Bompiani) è entrato con piglio nella rosa dei votati (estimatore dichiarato, il presidente Nordio). Qualche consenso per Matrigna (Solferino) di Teresa Ciabatti.
È il Campiello, bellezza. La trasparenza del Premio, che spesso sorprende, viene rivendicata dagli imprenditori veneti (qui, rappresentati da Matteo Zoppas, presidente in carica), che hanno fondato e portato avanti il Campiello fino all’odierna 57ª edizione.
Votazioni e classifica, dunque. Preceduti, come da prassi, da osservazioni preliminari dei giurati. Quest’anno è toccato a Daniela Brogi aprire gli interventi con una sorta di lectio magistralis per spiegare, attraverso una lucida analisi, che cosa rende un testo «fatto letterario». Per cominciare, il rapporto fra scrittura e narrazione. Poi, ognuno ha detto la sua anticipando in qualche modo il senso della propria scelta. L’opera che si è affermata subito in vetta alla cinquina (7 voti) è Il gioco di Santa Oca (La nave di Teseo) di Laura Pariani. Al secondo posto (7 voti), La vita dispari (Einaudi) di Paolo Colagrande. Seguono (6 voti) Carnaio (Fandango) di Giulio Cavalli; e Lo Stradone (Ponte alle Grazie) di Francesco Pecoraro.
Scelta «tormentata» per l’ultima opera della cinquina (6 voti). Dopo tre votazioni a vuoto, il ballottaggio. Fuori Il dono di saper vivere (Einaudi) di Tommaso Pincio, dentro Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri) di Andrea Tarabbia.
Oltre alla scelta dei cinque finalisti, nel corso della sessione padovana del Premio è stato annunciato il vincitore dell’Opera Prima: Marco Lupo, autore di Hamburg. La sabbia del tempo scomparso (Il Saggiatore): «Un libro sulla labilità della memoria e su come venga tramandata da un gruppo di lettori clandestini. In un mondo di macerie che ricorda Fahrenheit 451, un coro di voci si ritrova, segretamente, ogni lunedì, in una libreria. Non si tratta di un’allegra brigata bensì di una banda di resistenti che scorge nella lettura la medesima funzione che gli uomini primitivi attribuivano agli affreschi nelle grotte di Lascaux».
Presieduta da Carlo Nordio, la Giuria dei Letterati è composta da: Federico Bertoni, Daniela Brogi, Silvia Calandrelli, Philippe Daverio, Chiara Fenoglio, Luigi Matt, Ermanno Paccagnini, Lorenzo Tomasin, Roberto Vecchioni, Emanuele Zinato. A Venezia, il 14 settembre la finalissima, e il vincitore del Super Campiello, votato dalla Giuria popolare di trecento lettori. Resta da segnalare il nuovo progetto degli industriali veneti: la collaborazione della Fondazione Campiello con la Fondazione San Patrignano: gli ospiti della Comunità scriveranno un racconto a tema libero, che verrà valutato dalla Giuria del Campiello Giovani.