Corriere della Sera, 1 giugno 2019
Biografia di Kean Etro
Ancora sorride al ricordo dopo 18 anni: «I miei fratelli mi dicevano: “ehi Kean ma guarda che quelle polo mica le devi mangiare, cosa perdi il tuo tempo a farle bio?”. Già mi prendevano tutti in giro, persino loro, che comunque mi conoscevano». Visionario, il ragazzo, lo è sempre stato. Secondogenito tra gli Etro, che sono quattro, figli di Gimmo, il fondatore, era il 2001 quando lui (Kean, allora 33 anni) con Caprotti Junior si aggirava a presentare la sua collezione di maglie in cotone tinto in pianta fra i banchi dei primissimi prodotti bio. «Nessuno ci considerava. Anzi ci prendevano per matti. Poi la linea bio è ancora lì e anche l’azienda in Egitto che coltiva cotone bio o quella in Perù con le piante “colorate”. E siamo qui, oggi, a parlarne».
Va da sé che se il prossimo 8 giugno sarà la giornata degli Oceani, edizione numero 12, Kean Etro ci sarà: con un piumino prima e una linea poi, dedicati alla causa. «È sempre stata una passione, la mia. Che non ha mai generato una consapevolezza più grande, né un fatturato. Un sentimento di rispetto e piacere personale che sono andato scoprendo, esplorando e sperimentando». Sin da tempi insospettabili, fra l’altro. Perché ora è facile essere eco e bio e sostenibili: «Ho cominciato con la fibra di latte e sono passato alle viscose di soya. Poi sono arrivato alle infestanti, che per me significano “in-festa” per via del fatto che crescono dove vogliono, come il bamboo e l’ortica. E vogliamo parlare della storica canapa? Eravamo i secondi produttori al mondo: a Lodi c’era uno stabilimento incredibile. Dall’edilizia alle auto: la Ford fece un’auto che era sedici volte più resistente. Ma si sa, la lobby del petrolio... e quella del cotone: sono una potenza. Meno romanticismo e più praticità, allora, così arriviamo all’oggi».
Seguono i dati: i consumi sono per il 62 per cento di materiale (tessuti e altro) derivati dal petrolio e il 23-24 di cotone, il restante è suddiviso fra le alternative. «Un tempo mi dicevo: se il consumo di lane è pari all’1 per cento anche solo mettere in moto una produzione di lana che raddoppi il consumo vuole dire due volte il bestiame di oggi: improponibile. Allora la vera grande sfida di cui la gente parla, ma ancora timidamente, è il recupero degli scarti delle lobby cui sopra: petrolio e cotone. Come è successo con il cupro, che è lo scarto del cotone, che già esisteva per i foderami, ma solo ora è stato certificato».
La vera grande sfida, di cui la gente comincia
a parlate,
ma ancora timidamen-te, è il recupero degli scarti delle lobby: petrolio
e cotone
Ecco allora il piumino, per gli Oceani. «l’oggetto, il “Biomio”, fatto con 180 bottiglie, compresa la fodera e l’ovatta. La stampa non è eco e lo dico: è giusto farlo. E aggiungo: è un lavoro da ingegnere e c’è bisogno di giovani che studino. Mio figlio lo sta facendo ed ora è sul caso di un’industria calabrese che fa un filato dagli scarti di crostacei. Incredibile». Costi? «Se la pattumiera diventasse, nella nostra testa, materia prima, come dovrà essere, aiuterebbe parecchio anche sul fronte costi, giocherebbe alla pari con le altre. Oggi come oggi i pezzi in riciclato costano un 4/5 per cento in più, non oltre. Immaginate se fosse più facile recuperare e se i consumi aumentassero? Altro che abbattimento dei prezzi. Penso a quelle fabbriche di Taiwan che filano gli scarti di ostriche e crostacei pescati dai pescatori. Una vera economia circolare.».
È che non sempre le raccolte differenziate funzionano. «Ci sono giochini, lo so. Ma la coscienza sta crescendo. Ho letto che a Roma esiste una banca del recupero dei rifiuti. Poi ci sono i ragazzi, i giovani ingegneri, le star up. E tanta informazione. Penso a cosa si è fatto con il jeans e se ancora tanti evadono, la fiscalità green esiste».
Suggerimenti? «Trasparenza, apertura, comunicazione. In show room ho preso manichino e l’ho riempito d’acqua per il 70 per cento, come siamo fatti noi. Allora da dove riparti per creare consapevolezza, da qui. dal risparmio: come ci laviamo o come facciamo a funzionare le nostre lavatrici. Ci fa piacer andare alle Maldive? Bene. Ci sono oggi tre isole-montagna di spazzatura. Sia messa una tassa ad ogni turista per bonificarle». E la moda? «Penso a Elisabetta Canepa che ha brevettato un sistema per consumare il 50 per cento d’acqua nel processo di tintura. O a una bella azienda piemontese, come Newlife Yarns o i veneti di Bonotto: fare i nomi, nessun segreto, ma collaborazione e apertura. All’ultima Milano Unica me ne andavo in giro urlando: se non è certificato, non compro. Così sia, per tutti».