Corriere della Sera, 1 giugno 2019
Recensione del film Aladin, remake del classino cartone animato Disney
La riscoperta di Aladino
Stile Bollywood, una principessa forte, ritmi hip hop: così la favola Disney è un successo da 100 milioni di dollari
Renato Franco
Il kitsch di Bollywood, i suoni hip hop, la donna soggetto (e non oggetto), i toni della favola: mescoli tutto e dalla lampada esce Aladdin, il film di Guy Ritchie che sta monopolizzando gli incassi globali con oltre 100 milioni di dollari in Usa, più di 6 milioni di euro solo in Italia. Non è una novità per Disney che ormai è in posizione dominante nel mondo dell’industria cinematografica grazie a una serie di kolossal che trasformano in biglietti tutto quello che mandano nelle sale: basta pensare alla saga di Star Wars, ai film Marvel (Avengers: Endgame sta per battere il record di incassi di tutti i tempi), ai titoli che arriveranno grazie all’acquisizione di Fox (i prossimi Avatar), ai remake dei grandi classici di animazione, riproposti in live action, una versione interpretata da attori in carne e ossa. Come Aladdin.
La novella tratta da Le mille e una notte era stata presa poco in considerazione negli ultimi 30 anni, rimasta ancorata al cartoon con uno strepitoso Robin Williams a dare voce al Genio (doppiato in modo altrettanto strepitoso da Gigi Proietti). Oggi è il turno di Will Smith che si presenta nel ruolo di colui che tutto esaudisce, di colui che «esprimi e ti sarà dato» ma non più di tre volte. Fare ironico, modi da rapper, tappeto volante, il genio che ha le tonalità del blu dà consigli su come conquistare le ragazze, svolazzando in un incrocio di vecchi ruoli già interpretati: Willy, il principe di Bel-Air e Hitch – Lui sì che capisce le donne.
Il film guarda anche alla realtà, grazie alla riscrittura del personaggio di Jasmine, che da principessa ribelle, è diventata una donna forte che aspira a diventare guida del suo popolo nonostante le leggi lo vietino. In piena sintonia con le istanze contemporanee che puntano a far cedere quel soffitto di cristallo che impedisce alle donne di raggiungere posizioni di vertice. «Vedo Jasmine come una persona forte e indipendente – ha spiegato l’attrice che la interpreta, Naomi Scott, madre ugandese di origini indiane, padre britannico —. È una leader che vuole sentirsi legata alla gente del suo regno e comportarsi bene nei loro confronti. Non combatte solamente per le proprie decisioni, ma anche per migliorare la vita del prossimo». Due lotte al prezzo di una: perché nel XXI secolo amore e ambizione possono correre sullo stesso binario. O sullo stesso tappeto. Lui è il giovane ladro Aladino, interpretato dall’egiziano cresciuto in Canada, Mena Massoud.
Un musical saturo di colori, una favola con contenuti contemporanei, l’obiettivo di raggiungere un pubblico largo: «L’intenzione era fare un film che contenesse tanti elementi per tutti, per portare al cinema nonni e bambini – ha spiegato Guy Ritchie —. Io ho quattro figli e ho pensato che se potevo divertire la mia famiglia, potevo farlo anche con quelle degli altri».
Il regista interpreta la vita come una sfida, il cinema come una metafora: «L’unica cosa che mi interessa è che ogni personaggio abbia una sfida da affrontare che sia pertinente per il suo carattere, perché questo è il fondamento della narrazione. Non puoi avere una storia con cui il pubblico possa entrare in empatia fino a quando non ci sarà una sfida. In fondo il fondamento dell’evoluzione si basa su una sfida. Risolta una, ne devi affrontare un’altra: come uomini dovremmo semplicemente goderci il fatto che le sfide ci sono per poterle superare. Il risultato è secondario; è la strada che facciamo che conta». Il messaggio finale non può che essere in stile Disney: «Il Genio è un esempio di generosità: esaudire i desideri è un’idea da favola, ma simboleggia l’aiutare il prossimo ad avere una vita migliore, facendo tutto ciò che puoi per aiutare un’altra persona. C’è un bel messaggio nel cuore del film». Un auspicio più che altro in un mondo dove i tappeti per ora non volano.