Corriere della Sera, 1 giugno 2019
Quell’agente tedesco di nome Stefan Pfeiffer
L’agente della Stradale invita l’autista del furgone a scendere. «Ho visto che rallentava per scattare foto dell’incidente. Venga a dare un’occhiata al morto da vicino. È sdraiato sull’asfalto, può fargli una bella foto… Ah, non vuole vederlo? E allora risalga a bordo, paghi la multa e si vergogni». Subito dopo abborda un altro automobilista che procede a rilento per non correre il rischio di sfocare l’inquadratura: «E lei da dove viene, Ungheria? Il morto è ungherese anche lui. La accompagno… Ah, non vuole più? Si vergogni».
Nonostante il mestiere lo esponga a continui testacoda emotivi, l’agente della Stradale Stefan Pfeiffer, in servizio sull’autostrada Roth-Norimberga, non è ancora diventato cinico. Non abbastanza da riuscire a ignorare la morbosità che induce i bipedi muniti di protesi tecnologica a sentirsi vivi immortalando le tragedie altrui. Da Platone in giù, sul tema delle curiosità indecenti si sono misurati pensatori anche più attrezzati del Nostro. Ma lui non si è fermato all’analisi. Ha individuato una soluzione. Portare il macabro gioco alle sue estreme conseguenze, costringendo i guardoni a immergersi nel paradosso da essi stessi evocato. La reazione degli interessati è una retromarcia gonfia di imbarazzo e forse, come deterrente, funziona meglio di una paternale o di una multa. Vorrei candidare l’agente della Stradale Stefan Pfeiffer alla presidenza della Commissione Ue. Se devono proprio comandarci i tedeschi, che sia almeno uno così.