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 2019  maggio 31 Venerdì calendario

Lactalis si compra anche il parmigiano

MILANO – Formaggi o politica, il risultato non cambia. L’Italia sovranista – esaurito il tempo di chiacchiere e proclami – si arena sul problema di sempre: i soldi. Le barricate tricolori alzate attorno al parmigiano reggiano dal ministro dell’Agricoltura leghista Gian Marco Centinaio «dobbiamo attivare anticorpi contro le multinazionali che vengono qui a far shopping» – sono durate una settimana. Spazzate via dall’assegno di 270 milioni con cui i francesi di Lactalis hanno conquistato Nuova Castelli, primo esportatore del re dei dop nazionali, lasciando il Belpaese a piangere le solite lacrime (di coccodrillo) sul latte versato. Il danno reale all’autostima casearia italiana, al momento, è relativo: la produzione del parmigiano è regolata da un disciplinare rigidissimo con gli allevatori a fare da garanti su qualità dei foraggi utilizzati e lavorazione. Trasferirne la produzione fuori dal territori del consorzio è impossibile, pena la perdita del marchio. E in fondo Lactalis ha finora tutelato l’italianità degli altri marchi – dal taleggio Cademartori alla mozzarella Vallelata fino a Invernizzi e Locatelli – che già ha in portafoglio. Ai crociati (senza portafoglio) del parmigiano però non basta. E passato il pericolo di dover tirare fuori i quattrini per far seguire alle parole «difenderemo l’italianità!» – i fatti, la filiera politico-produttiva-corporativa che ruota attorno al formaggio è tornata ad alzare la voce. Provando a chiudere la stalla quando le mucche hanno già preso la strada della Francia. «È un’operazione suicida per noi – ha tuonato Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia –. La Francia depreda il nostro paese e l’immobilismo del governo è sconcertante». Poco importa che la Nuova Castelli fosse già controllata da uno straniero, il fondo inglese Charterhouse. In politica la butta pure Benedetta Fiorini, deputata emiliana di Forza Italia, per cui Di Maio – sul parmigiano – «ha fallito». Mentre Centinaio, colto in contropiede dalla rapidità del blitz transalpino, traccheggia: «Siamo perplessi, parleremo prima possibile con Lactalis». Il problema però è sempre lo stesso. E in Emilia – dove il colosso parigino si è già “mangiato” la Parmalat beffando decine di fantomatiche cordate italiane mai materializzate – lo conoscono bene: “Articolo quinto – come riassumeva il patron di Mediobanca Enrico Cuccia – chi ha i soldi ha vinto”. E senza soldi italiani ha vinto la Francia. I sindacati, più pragmatici, vanno al sodo: «Vanno valutate prospettive industriali e occupazionali senza trasformare l’operazione in un derby politico – ragiona Onofrio Rota, segretario generale Fai Cisl –. Finora da Roma è arrivato molto rumore ma zero fatti». «Servono aggregazioni nel sistema per avere investitori tricolori più competitivi», per il presidente Confagricoltura Massimiliano Giansanti. Coldiretti, la lobby più potente delle campagne nazionali, mastica amaro: «La distrazione della politica rischiano di pagarla gli allevatori italiani cui Lactalis vuol ridurre unilateralmente il prezzo del latte alla stalla» tuona il numero uno Ettore Prandini. Il timore è che i francesi possano fare al Parmigiano quello che hanno fatto con il Camembert di Normandia. Cambiando (grazie allo strapotere dell’industria) le regole e sostituendo l’uso del latte crudo con quello pastorizzato.