il Giornale, 31 maggio 2019
Rileggere Alberto Savinio
Nel febbraio del 1946 un irritato Valentino Bompiani scrisse a Alberto Savinio, di cui era l’editore, chiedendogli conto di un libro, Souvenirs, da questi pubblicato per un’altra casa editrice. Il loro sodalizio intellettuale era cominciato all’inizio di quel decennio, quando il primo aveva strappato, con il suo consenso, naturalmente, il secondo a Mondadori, allora il più importante editore italiano, e però troppo grande per uno scrittore in apparenza disorganico e dispersivo e che, soprattutto, non teneva in alcun conto «il pubblico...
Bompiani era un editore di tipo rinascimentale, nel senso che era generoso e colto, consapevole che una casa editrice è il suo catalogo, sufficientemente cosmopolita per capire che un’Italia senza Europa era inconcepibile tanto quanto un’Europa priva dell’Italia. Savinio era greco di nascita, francese d’adozione, pittore, scrittore e musicista, fratello intelligente di quel De Chirico pictor optimus e metafisico e insomma era l’autore ideale per chi riteneva che i libri formassero un’arca di Noè con cui sopravvivere al diluvio universale che intanto era di nuovo scoppiato sotto forma di Seconda guerra mondiale.
A quella lettera citata all’inizio, Savinio rispose coprendosi il capo di cenere: «Ho peccato e lo confesso e se non te l’ho detto prima è stato per vergogna». Si trattava tuttavia di «una vecchissima corrispondenza all’Ambrosiano» che Enrico Falqui, il critico che aveva dato vita alle Nuove edizioni italiane, dove Souvenirs era uscito, possedeva «dentro una cartella sua propria». Inoltre, era dovuto, come dire, a un caso di forza maggiore: dopo l’Otto settembre, con l’Italia spaccata in due, con le collaborazioni giornalistiche rarefattesi per censure, chiusure, penuria di carta etcetera, Savinio, che di quelle viveva, si era visto ridotto alla fame e l’accettare l’offerta di Falqui era stato come l’aggrapparsi a una ciambella di salvataggio. Comunque, «come molte case editrici improvvisate in questi tempi, anche le Nuove edizioni italiane non esistono più. Il libro è stato veduto da pochissimi e si può considerare inedito» scriveva infine per minimizzare il «tradimento».
In questa lettera di risposta c’era molta verità e qualche bugia, nel senso che quella «vecchissima corrispondenza» Savinio, come ogni autore che si rispetti, l’aveva rivista a fondo; non riguardava soltanto L’Ambrosiano, ma comprendeva pezzi pubblicati nell’arco di vent’anni su quotidiani come La Stampa e Corriere italiano, su periodici come Omnibus, Mercurio, Città, L’Italiano... per sua stessa ammissione, Savinio era «ombroso, geloso, personalista, proprietarista, miista (molto più di quanto il mio comportamento forzatamente disciplinato lascia trapelare)», tutto il contrario insomma di uno scrittore disponibile a spacciare per libri vecchi avanzi del mestiere...
Adesso che il carteggio con Bompiani e Souvenirs arrivano in contemporanea in libreria (Scrivere fino in fondo 1941-1952, Bompiani, pagg. 548, euro 35; Adelphi, pagg. 246, euro 14) la prima riflessione da fare riguarda l’abisso intellettuale che ci si spalanca davanti allorché confrontiamo quel mondo al nostro. È la consapevolezza di un’inferiorità culturale che non è tanto o solo dovuta alle personalità d’eccezione di cui stiamo parlando, Bompiani e Savinio, appunto, ma riguarda il loro essere un prodotto dell’epoca, non un’eccezione. Intorno al primo si muove una galassia di autori, di progetti, di organizzazione aziendale, dalla segretaria al fattorino, oggi inimmaginabile, con un’editoria divenuta un supermarket dove l’autore ha il suo bollino di scadenza. Gli articoli scritti dal secondo vanno ad arricchire un terreno giornalistico recettivo: c’è chi li commissiona e chi li legge e non è un caso che la migliore letteratura di allora abbia nel giornalismo il suo fondamento, né che da Savinio a Cecchi, da G. Rossi a Bontempelli, da Malaparte a Montanelli i loro libri raccolgano ciò che in prima battuta era uscito sulla carta stampata. Si dirà che è una pratica ancora oggi d’uso corrente, ma quel giornalismo ha retto alla prova degli anni, quello attuale non dura più d’una settimana.
Souvenirs è il miglior Savinio, quello, per intenderci, di Narrate, uomini, la vostra storia. C’è la divagazione e c’è la spietatezza dei giudizi, il passo del narratore e l’osservatore di costume. Non era un uomo facile, Savinio, e soprattutto sapeva il suo valore. Ecco come liquida i surrealisti: «Nel surrealista molti immaginano l’intellettuale decadente, trascinato verso l’abisso da un’intelligenza satanica. E invece no: carattere dominante del surrealista è la puerilità, la quale, di là dalla frontiera dell’infanzia, si chiama scemenza». Eccolo ironizzare sulla passione di Colette per le piante: «La notte io sento in tutte le fibre del mio corpo lo sforzo che devono fare i tulipani per sbocciare alla luce del giorno. Come dormire se lo sforzo dei tulipani io lo vivo interiormente?». Eccolo rievocare Max Jacob nella galleria d’arte del signor J.N: «La commessa si chiamava Simone. Una mattina il signor J.N. arriva in bottega e trova tutte le pitture rivolte verso la parete. Domanda la ragione a Simone di quelle strane inversioni e Simone risponde così: J’ai pensé bien faire, monsieur, ici tout est inverti.. Nella bottega del signor J. N. le pitture di Max Jacob occupavano il posto d’onore».
In alcuni casi, si veda la descrizione della baia del Mont Saint-Michel, dove il mare, «come una bava oscura e tarda» invade «le praterie di tozze erbe salate» è la scrittura inventiva a farla da padrone. In altre, analizzando il romanzo poliziesco come nuovo genere alla moda, ecco Savinio incoronare nel 1932 Georges Simenon come «un Dostoewski minore» a cui si deve proprio «il romanzo poliziesco borghese». Nel parlare dei film di Renè Clair, c’è spazio invece per delineare, con un semplice tocco, quello di Charlie Chaplin: «umorismo pensoso, ciabattismo agrodolce»...
Ironico, svagato, insolente, visionario Souvenirs è la miglior risposta a chi ritiene il giornalismo un genere effimero, condannato per sua natura all’invecchiamento precoce. Ma ci dice anche che un Savinio contemporaneo il giornalismo d’oggi lo espellerebbe come un corpo estraneo: non c’è la notizia, ma a chi vuoi che interessi, è troppo lungo, è difficile, ma che vuol dire...