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 2019  maggio 31 Venerdì calendario

Americani uccisi dal costo dei farmaci

«Nessuno dovrebbe morire perché non ha l’insulina per il suo diabete». Affermazione indiscutibile, ma se pensate che rifletta la crisi sanitaria di un Paese africano siete fuori strada: articoli con titoli simili compaiono spesso sulla stampa Usa. Raccontano la realtà quotidiana di milioni di americani costretti a pagare centinaia (a volte migliaia) di dollari per un farmaco salvavita in commercio da un secolo i cui costi continuano a schizzare in alto: le tre case che lo producono (sospettate di collusione) migliorano marginalmente la formulazione e si garantiscono così continui rinnovi di brevetti. Ora il Colorado prende la decisione rivoluzionaria di fissare un tetto, 100 dollari al mese, per i ticket che i diabetici sono costretti a pagare anche se già versano migliaia o decine di migliaia di dollari l’anno per la polizza sanitaria. E non si tratta solo di insulina. Nel libero mercato Usa dei farmaci i costi di tutti i salvavita, dalle cure per il cancro a quelle per la sclerosi multipla, continuano a salire: il trattamento più efficace per la sclerosi oggi costa 92 mila dollari l’anno: il doppio del 2010, quando la medicina venne messa in commercio. Vale la pena di riflettere anche su questo quando vediamo tutto nero nella nostra sanità e ammiriamo l’America che continua a crescere. Certo, farmaci più costosi fanno salire il Pil. Come anche l’abuso di antidolorifici, alimentato da medici e case farmaceutiche senza scrupoli, che ha creato un nuovo popolo di drogati (e relativo business della disintossicazione). In un Paese che mangia male ci sono, poi, 30 milioni di diabetici bisognosi di più cure, più visite, più test clinici e ricoveri: tutte cose che negli Usa costano assai più che in Europa. Oltre a enormi diseguaglianze di reddito, l’America nasconde, insomma, anche profondi disagi sociali, soprattutto nella sanità. E stavolta Trump non ha colpe. Anzi, consapevole che il tema è popolare, incalza i giganti di big pharma: rifiuta i loro contributi elettorali e cerca di obbligarli a ridurre i tariffari con pressioni di ogni tipo. L’ultima: l’obbligo di dichiarare il prezzo negli spot pubblicitari televisivi. Le imprese stanno cercando disperatamente di sottrarsi a una norma che le costringerebbe alla trasparenza (e all’impopolarità): arrivano a denunciare violazioni del Primo emendamento dalla Costituzione, quello che vieta limiti alla libertà d’espressione.