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 2019  maggio 31 Venerdì calendario

Pippo Baudo parla di Grillo e di politica

Capelli bianchi. «Qualche tempo fa incontro Berlusconi alla presentazione di un libro all’Ara Pacis. Da 30 metri vedo che si sbraccia, poi comincia a gridare davanti a tutti: “Pippo, tingi, tingi”. E io, sempre urlando: “Silvio, non tingo più”. La mattina mi guardo allo specchio ed è una liberazione. Non mi devo preoccupare del colore e della ricrescita». Seduto nella redazione del programma, a un passo da Viale Mazzini, Pippo Baudo sorride. La Rai ha deciso di rendere omaggio al simbolo della tv italiana venerdì 7 giugno con una trasmissione intitolata “Buon compleanno… Pippo”.
Sono 83 anni di vita e 60 di tv macinando pubblico, ospiti, programmi, successi e pochi fallimenti. Un rapporto con il pubblico unico, forse irripetibile. L’Italia gli è passata sotto gli occhi, generazioni di cittadini nelle cui case è entrato di sera, di mattina, di pomeriggio, di domenica. Sul fenomeno Baudo sono stati scritti almeno quattro libri, l’ultimo firmato da Paolo Conti si intitola “Ecco a voi”. «A chi vuoi più bene, a mamma o a papà? A Pippo Baudo», fu un’illuminante battuta degli Squallor che descriveva il suo essere mainstream nel sentimento della gente. «Mi hanno raccontato che lo spunto era vero. Lo avevano sentito dire in una famiglia del Sud». Ride di nuovo. Ma qui finisce l’allegria. «Vedo l’Italia di oggi tristanzuola, malinconica. La gente rimane chiusa in casa e si avverte la paura del domani. Ed è un’Italia incattivita».
Colpa di Salvini?
«Salvini parla alla pancia del Paese».
Un bene?
«È un male perché la pancia spesso borbotta e alla fine esplode. La capacità empatica ce l’ha, non c’è dubbio. Il suo linguaggio molto semplice arriva. Se oggi De Gasperi si affacciasse al balcone non lo seguirebbe nessuno. Esce Salvini, invece, e la gente sta là sotto. Non so se così il Paese cresca culturalmente».
La sua scoperta Beppe Grillo ha fatto un miracolo con i 5 Stelle?
«Per me il successo del Movimento è stata una sorpresa, non un miracolo. Io vorrei che Grillo fosse felice ma secondo me la politica gli ha dato l’infelicità. Il suo ruolo di leader non è riconosciuto dagli altri. Finché c’era Gianroberto Casaleggio il binomio era perfetto, con il figlio Davide non hanno lo stesso feeling. È politicamente infelice perché non ha raggiunto gli obiettivi che lui voleva. Si ricorda la traversata dello Stretto di Messina a nuoto? Con qualche bracciata ha conquistato la Sicilia».
Meglio come comico?
«Era bravo ma non aveva testi forti. Gli misi accanto due autori super. Uno era Luca Goldoni, l’altro Stefano Benni con cui sono rimasti amici. Mi dissero che non sarei mai riuscito a parlare con Benni perché era un orso. Si poteva provare andando a Bologna presso una trattoria vicino alla stazione all’una. Così feci e lo ingaggiai. Mandava i testi sempre all’ultimo, con battute tremende. Una volta ci fece comprare delle scope, una di saggina, una di paglia, una di sintetico. Ogni scopa corrispondeva a un partito. Voleva fare piazza pulita».
Il suo giudizio sull’Italia rischia di essere nostalgico e alla fine reazionario.
«A me sembra un dato oggettivo. Ai miei tempi c’era un gentleman agreement, erano tempi più nobili, più rispettosi. Zaccagnini, Nenni… La cattiveria la vedo nella rivalità politica che tocca punte estreme. Ci si offende, ci si insulta. Il duello tra Salvini e Di Maio è feroce, ogni volta si scaricano un’accusa più violenta. Non c’è giornata senza polemiche e la gente o se ne frega o si assuefà. Ho l’impressione che non possa durare a lungo».
Lo sente ancora il suo amico De Mita?
«Mi ha chiamato l’altro giorno. Dice: "Ho scritto il mio testamento politico". Bravo, rispondo. "Se hai carta e penna te lo detto". Mi agito: per carità, non ho tempo. "Guarda — fa lui — è brevissimo. Due parole: sono democristiano. Avevo scritto: sono stato democristiano ma ho cancellato stato"».
È anche il suo testamento?
«Come spirito sì. Democristiano nel senso migliore della parola. Sturziano. Penso alla Dc che accoglie la pancia del Paese e si spinge verso sinistra, verso le classi meno abbienti. Io voto Pd, questo è il sogno della mia vita. Lo stesso di Berlinguer e Moro che ci hanno rimesso la vita per inseguirlo. Purtroppo c’è sempre un don Rodrigo che dice: questo matrimonio non s’ha da fare».
Le piace Zingaretti?
«Nicola o Luca?».
Nicola.
«Lo sa sì che Nicola prende qualche voto in più perché è il fratello di Luca? Gli manca un po’ di polso. Ce l’avevamo un leader muscolare, moderno. Poi si è montato la testa e ha perso tutto».
Con Berlusconi non avevate litigato quando lei stracciò il contratto con Mediaset?
«Al contrario siamo sempre andati molto d’accordo. Mi diede un sacco di soldi, era un grande ammaliatore, ma non poteva funzionare. Avevo l’incarico di direttore artistico e trovai un sacco di nemici: Corrado, Costanzo, soprattutto Antonio Ricci. L’unico ad accettarmi fu Mike Bongiorno. Mi venne incontro e disse: tu sei il mio capo, con quella serietà tipica sua. Siamo diventati grandi amici. Quando andavo a trovarlo mi portava sempre nella sua cantina dove teneva tutti i prodotti che pubblicizzava negli spot. La moglie di Mike, Daniela, ha fatto un’asta vendendo i prosciutti vecchi di 30 anni».
Berlusconi ha la sua stessa età.
«E una forza incredibile, nonostante gli acciacchi. Mi meraviglia ma lui è così. Una volta ad Arcore c’era Aznavour. Attacca Douce France , Berlusconi si avvicina, lo scansa e prende il microfono: "Questa la canto meglio io"».
E Aznavour?
«Zitto. Da bravo armeno pensava al cachet».
Di Maio che tipo di ragazzo del Sud è?
«Un miracolo. Lui davvero. Per uno che faceva quel mestiere lì, lo steward, senza titoli di studio, ne ha fatta di strada. Si prepara bene, è molto volenteroso, ma è difficile governare questo Paese».
Come lo governa Conte?
«Non riesco a capirlo. Parla benissimo e non dice nulla. Come Forlani. Per questo sta bene a tutti».
C’è una rivelazione in questo governo?
«Non perché sia mio compagno d’armi e amico, ma la grande rivelazione è Mattarella. Il suo essere al centro di tutti i problemi è la fortuna dell’Italia. Chiedo sempre quanti anni mancano alla fine del suo mandato. Tre? Pochi. Lo terrei al suo posto altri tre».
Com’era la sua tv?
«Varietà e sapienza».
Per questo veniva considerato il più colto dei presentatori?
«Non voglio fare classifiche ma ho letto abbastanza. Per coscienza professionale. Veniva ospite Montanelli e conoscevo il suo ultimo libro meglio di lui. Nella mia Domenica In non c’era la medietà, sono passati Bocca, Biagi, Umberto Eco. Io volevo che la cultura si vedesse e che la gente di me dicesse: però è preparato. A Militello, il mio paese, nel mese mariano venivano i predicatori da Siena. Una volta arrivò Don Andrea, un pozzo di scienza. Le vecchiette non capivano una parola ma erano affascinate dal suono.
Quando la cultura è profonda suscita attrazione».
Le vede le serie?
«No. Guardo solo la tv generalista. Non uso Internet, non uso i social, non vedo lo streaming e ho un telefono Brondi».
L’omaggio della Rai, gli ospiti che verranno. È bello essere ben voluti.
«Sì ma per raccontare 60 anni di carriera ci sarebbero volute tre puntate, non una».