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 2019  maggio 30 Giovedì calendario

Good Omens

La prima volta che Neil Gaiman, scrittore, sceneggiatore e fumettista, ha proposto alla BBC il copione di Good Omens si è sentito dire di no. «Perché costava troppo e non potevano permetterselo». Ci è voluta Amazon, con i suoi Studios e con la sua piattaforma streaming, Prime Video, perché l’adattamento del romanzo che aveva scritto quasi trent’anni fa con Terry Pratchett diventasse realtà. Sei episodi e un cast d’eccezione, a cominciare dai due protagonisti, Michael Sheen e David Tennant, che interpretano rispettivamente l’angelo Aziraphale e il demone Crowley. 
Quando Good Omens venne scritto, erano tempi diversi: il muro di Berlino era appena caduto e il mondo era totalmente differente. Oggi, dice Gaiman, le cose sono ancora più complicate. E se ha deciso di adattare il romanzo in una serie tv, e di assumerne il controllo come showrunner, è stato perché a chiederglielo, poco prima di morire, fu proprio Pratchett. Da lì, in un certo senso, la strada è stata quasi in discesa. Il primo ad avere l’idea di fare del libro un prodotto per la tv fu, racconta Gaiman, Terry Gilliam. «Ma ha avuto poca fortuna». Così come ne ha avuta poca Hollywood, dove il libro di Gaiman e Pratchett era stato immediatamente opzionato.
Good Omens è una commedia e, allo stesso tempo, un dramma. Parla di angeli e di demoni e soprattutto, come tiene a ribadire Jon Hamm, che nella serie interpreta l’arcangelo Gabriele, «l’imperfezione delle persone». Aziraphale e Crowley vivono sulla Terra, si conoscono dall’alba dei tempi, e finiscono per stringere un’amicizia profonda e sincera, segno che, in realtà, non sono altro che «le due facce della stessa medaglia». Hanno un compito: impedire l’Apocalisse, fermare l’Anticristo e fare in modo che il mondo, quello che conosciamo, non finisca. «Il merito – dice Michael Sheen – è stato di Gaiman, che si è sempre mostrato aperto ai cambiamenti e ai suggerimenti. Lo conosco da tempo. Si può dire che sia stato a bordo di questo progetto fin dall’inizio». 
Alla regia di Good Omens c’è uno dei veterani del piccolo schermo inglese: Douglas Mackinnon. «Siamo partiti dal libro per sviluppare questa serie. E più che sei puntate – dice – sono sei piccoli film». La cosa che contraddistingue i personaggi, anche quelli più straordinari, è la loro umanità. Il loro essere fallibili e incompleti». 
Come il libro originale non sottovaluta i lettori, così la serie tv non sottovaluta i suoi spettatori, e offre loro un immaginario e una rappresentazione semplicemente unici. «C’è dell’artigianato in Good Omens - dice Mackinnon -. Anche gli effetti speciali sono stati scelti con il chiaro obiettivo di dare una sensazione precisa allo spettatore: un po’ cartoonesco, un po’ fumetto». E la stessa sigla è, a suo modo, un omaggio ai Monty Python. Perché Good Omens è uno show inglese, profondamente inglese, «che vuole rappresentare il Regno Unito e Londra per quello che sono, con un profondo rispetto». Siamo, dice Gaiman, in un «presente nostalgico».
Frances McDormand, attrice Premio Oscar, Frances McDormand e fa da narratrice. «Volevamo una donna – dice Mackinnon -. E volevamo che fosse americana». «Un giorno – racconta Gaiman – Frances mi manda una mail, chiedendomi tutt’altro, e così le ho proposto di fare, per noi, Dio. Anche se fantasy e profondamente surreale, non c’è uno show più politico di questo. L’Apocalisse non è che una metafora: quando le persone non si parlano più, il rischio per tutti è la fine».
Good Omens, disponibile su Amazon Prime Video da domani, segna l’ennesimo trionfo della scrittura nel piccolo schermo; è, a suo modo, la sintesi perfetta tra creatività pura ed esigenze produttive. «Sono stato uno scrittore in pensione per un po’, per girare questa serie – scherza Gaiman -. Ora diventerò uno showrunner in pensione». 
Se Amazon ha creduto in Good Omens è stato perché punta al pubblico più ampio possibile, e perché vuole aumentare i suoi spettatori in tutto il mondo. «Abbiamo raccolto i migliori autori, come Neil Gaiman», ha detto Albert Cheng, Chief Operating Office degli Amazon Studios. «Perché noi vogliamo essere la casa della creatività».
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