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 2019  maggio 30 Giovedì calendario

I numeri della birra in Italia

Se la spesa alimentare delle famiglie italiane è calata in media di 322 euro l’anno scorso, non è certo perchè dal carrello sono uscite le bottiglie della birra. Il suo consumo, infatti, è tra i pochi che crescono nel Paese: +3,2% nel 2018, e per la prima volta sono stati superati i i 20 milioni di ettolitri di birra bevuti.
Sono questi i dati del rapporto annuale che Assobirra ha presentato ieri, e sono numeri positivi anche sul fronte della produzione nazionale, che è cresciuta del 4,7%, superando quota 16 milioni di ettolitri. Anche l’export va molto bene e l’anno scorso è cresciuto del 6,6%, con oltre 3 milioni di ettolitri esportati. Aumenta invece in modo molto minore l’import, ad oggi sotto quota 7 milioni di ettolitri.
Una parte del successo di immagine della birra italiana tra i consumatori è senz’altro merito dei microbirrifici, che portano avanti produzioni artigianali di alta qualità. Nel Paese se ne contano 862, danno lavoro a 3mila persone – soprattutto giovani – e producono 504mila ettolitri di birra all’anno. Valgono poco più del 3% della produzione nazionale, ma costituiscono ormai un fenomeno di costume e negli ultimi dieci anni sono letteralmente esplosi, con una crescita dell’824%. Anche se molti, va detto, chiudono dopo poco tempo.
Michele Cason, presidente di AssoBirra, è soddisfatto del bilancio: «Dobbiamo questo successo al fatto che il palato dei consumatori italiani si è raffinato e ora vengono apprezzate molto di più le birre speciali, che hanno un valore aggiunto più elevato. È anche la dimostrazione che tutti gli investimenti in innovazione delle imprese stanno funzionando, così come la valorizzazione dei singoli marchi e dei territori».
In Italia, il giro d’affari della birra è tra i 3,2 e i 3,4 miliardi di euro «e cresce proporzionalmente rispetto ai volumi», spiega Cason. La stragrande maggioranza della produzione ormai è nelle mani dei grandi gruppi stranieri – l’olandese Heineken, la danese Calsberg, la belga AbInBev, la giapponese Asahi – che negli anni hanno dato vita a un processo di concentrazione del mercato rilevando i birrifici italiani pur mantenendone inalterati i marchi. «Quando gli investitori stranieri arrivano in Italia non spostano la produzione – assicura però Alfredo Pratolongo, vicepresidente di AssoBirra e top manager di Heineken -. La birra non delocalizza, solo ha bisogno di investimenti sostenuti, nell’ordine delle centinaia di milioni». Che non tutti possono permettersi.
Al governo le imprese chiedono di intervenire sulle accise, «perché la birra – spiega il vicepresidente Pratolongo – è l’unica bevanda da pasto a pagarle in Italia. Siamo grati ai governi che nelle ultime tre finanziarie hanno in parte ridotto la tassazione, tant’è che le imprese stanno investendo di più nel settore. Ma sarebbe importante che le accise sulla birra tornassero in fretta ai livelli pre-crisi del 2013». Per intenderci, l’aliquota che in Germania è all’8% in Italia è al 32%.
All’Europa, invece, che dovrà discutere la nuova politica agricola, il presidente Cason chiede attenzione per la filiera dell’orzo: «L’Italia importa tutto il luppolo e il 60% dell’orzo per la birra, ma le caratteristiche del nostro Paese ci consentirebbero di coltivarne di più. Finora i sussidi al grano hanno penalizzato indirettamente l’orzo, perché hanno condizionato le scelte di semina dei nostri contadini: per la filiera della birra made in Italy, è importante che questa discriminazione venga meno».