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 2019  maggio 30 Giovedì calendario

Biografia di Clint Eastwood

Clint Eastwood (Clinton Eastwood Jr.), nato a San Francisco il 31 maggio 1930 (89 anni). Attore. Regista. Produttore. Compositore. Vincitore di quattro premi Oscar: due nel 1993 per Gli spietati (al miglior film e al miglior regista), due nel 2005 per Million Dollar Baby (al miglior film e al miglior regista). «La maggior parte delle persone, se mai mi ricorderà, penserà a me come a un "action hero". E mi sta bene. Non c’è nulla di male in questo. Ma ci sarà sicuramente anche qualcuno che mi ricorderà per gli altri film, quelli nei quali ho voluto cogliere qualche sfida. O, per lo meno, mi piace pensarlo» • «Clinton Eastwood jr. nasce a San Francisco il 31 maggio 1930, durante la Grande depressione. La famiglia, di origine scozzese-inglese-irlandese-olandese, sarà costretta a continui traslochi per inseguire il lavoro. Fino ai 14 anni Clint soffre per i continui mutamenti di scuole e di amici. Si consola con il pianoforte della nonna, che segue sempre gli Eastwood. Impara a suonare a orecchio ascoltando i dischi di Fats Waller e Art Tatum, dalla collezione di dischi della madre pianista. Lei gli trasmette il grande amore della sua vita: il jazz. Clint capisce che non ha la stoffa per farne una carriera» (Anselma Dell’Olio). «Eastwood non ha mai avuto il fuoco sacro e, prima di scoprire il palcoscenico grazie a una professoressa dell’high school che lo fece esordire in una recita scolastica, aveva usato la corporatura imponente per primeggiare sui campi di basket: “Volevo diventare atleta. Recitare non m’interessava affatto: nella commedia che mettemmo su per la scuola sbagliammo molte battute. Giurai che era la fine della mia carriera d’attore”» (Fulvia Caprara). «Ormai stanziale a Piedmont, frequenta un liceo “bene”, ma va male. Studia poco; si sente fuori posto con la sua bagnarola in mezzo alle Cadillac degli studenti ricchi. Si trasferisce in un istituto tecnico di Oakland, dove si sente più a suo agio sotto i motori che sui libri. È a suo agio in mezzo ai figli di quella classe operaia che sarà la base dei suoi fan più affezionati. Ma Clint non intende condividere il loro destino. Già a 13 anni distribuisce giornali a domicilio e fa il garzone al supermercato. Dopo la licenza cominciano i suoi “anni perduti”. […] Fa lavori manuali: boscaiolo, bagnino, meccanico. Nel 1949 la chiamata alle armi per la guerra di Corea è un brusco risveglio. Si rende conto che il ritardo nell’iscriversi all’università gli è costato l’esenzione dal servizio militare; e briga per diventare istruttore di nuoto nella caserma di Fort Ord, dove resterà per tutto il periodo di leva, in costume a bordo di una piscina. […] Dopo il congedo si iscrive al Los Angeles City College e conosce Maggie Johnson, che sarà la sua prima moglie. Studia Economia e commercio svogliatamente. Per guadagnare scava piscine. Ma uffici noiosi e cantieri sudici non lo attirano. La vita precaria ma libera dello spettacolo lo invoglia. Gli amici attori lo incoraggiano. La gavetta è tosta e dura alcuni anni. Finalmente vince un contratto alla Universal per nuovi talenti, e nel 1953 si sposa. Supera le perplessità della famiglia per il mestiere che ha scelto sostenendo che sarà pagato per continuare gli studi. Infatti frequenta corsi di recitazione, dizione, canto, ballo, equitazione. Clint fa parti minori in film di routine. Quando la Universal non gli rinnova il contratto si dà da fare, ma rimedia solo piccole parti in film mediocri. Riprende a scavare piscine. Sempre tranquillo e implacabile, non si scoraggia. È di una bellezza all’antica, ricorda stelle come James Stewart, Gary Cooper, e John Wayne: divi ancora sulla breccia, ma un po’ polverosi. Il loro stile era stato riassunto da James Cagney: “Pianta i piedi per terra e dì la verità a chi ti sta di fronte”. Lo stile minimalista di Eastwood ricalcava quel modello d’altri tempi. In più, i casting director gli dicevano che era troppo alto, con il suo metro e novanta, mentre il nuovo che avanzava raramente superava il metro e settantacinque. […] Clint non demorde, e nel 1959 diventa il secondo protagonista in un serial western per la tv. Si chiama Rawhide (“Cuoio grezzo”) e sarà un successo che gli darà la tranquillità economica e l’investitura da cowboy. Clint sogna sempre il grande schermo, ma il salto è difficile. La vulgata di Hollywood è che il pubblico non pagherà per vedere al cinema un attore che vede gratis in salotto. Clint gestisce bene i guadagni, e scruta l’orizzonte per i segni di un successo più qualificante. […] Durante una pausa nella lavorazione della serie televisiva, arriva l’offerta di Leone» (Dell’Olio). «Un giorno qualcuno mi diede una sceneggiatura scritta da un italiano, Sergio Leone, che non avevo mai sentito nominare. Era Per un pugno di dollari. La lessi e pensai: "Quest’uomo ha senso dell’umorismo, mi piace". E accettai» (a Paola Jacobbi). «Eastwood non era stato la sua prima scelta. Leone aveva offerto il ruolo a James Coburn, ma si era dovuto accontentare di questo sconosciuto attore televisivo, il solo che accettava il cachet bassissimo. […] Clint accetta. Da cinque anni cercava un buon ruolo nel cinema. […] Intanto veniva fuori una vacanza gratis in Europa. Era il 1964. Il resto è storia» (Dell’Olio). «Viene scelto da S. Leone per recitare in Per un pugno di dollari (1964), e per i due sequel Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Il successo della trilogia e dell’“uomo senza nome”, il granitico pistolero di poche parole, col perenne sigarillo all’angolo della bocca, ne favorisce il ritorno a Hollywood (Impiccalo più in alto, 1968, di T. Post, che autoproduce con la sua Malpaso Film)» (Pasquale Mascia). «Volevo fare anche altro, cimentarmi in altri generi di film. Così, per C’era una volta il West rifiutai la sua offerta: […] dopo il successo commerciale di Il buono, il brutto, il cattivo pensavo di dover andare oltre. E quello era il momento giusto per farlo». «Avvia anche una feconda collaborazione col regista D. Siegel, nell’originale travaso metropolitano degli stilemi e dell’etica western (L ’uomo dalla cravatta di cuoio, 1968) e nelle variazioni umoristiche (Gli avvoltoi hanno fame, 1969) o di cupo pessimismo (La notte brava del soldato Jonathan, 1971). Il cruciale Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1972) inaugura, sempre per mano di Siegel, un personaggio di fascinosa ambivalenza e di alterna fortuna critica in uno scenario urbano dal parossistico climax violento, con seguiti fortunati ma meno incisivi (Una “44 Magnum” per l’ispettore Callaghan, 1973, di T. Post: Cielo di piombo, ispettore Callaghan, 1976, di J. Fargo). Nel 1971 esordisce nella regia con il giallo Brivido nella notte; ma è solo nel suo primo western (Lo straniero senza nome, 1973) che da regista-protagonista (come in quasi tutti i suoi film successivi) affronta il tema della vendetta» (Mascia). «Nel 1976, con Il texano dagli occhi di ghiaccio mette in atto un colpo di mano che fa discutere. Clint promuove regista del film lo sceneggiatore Philip Kaufman, che si rivela un posapiano sul set. La star, che è decisionista e mal sopporta chi si mostra insicuro nel condurre quell’inseguimento della diligenza che è girare una pellicola, fa licenziare Kaufman e lo sostituisce. Dice che “chi fa tanti ciak non è un regista, ma un indovino”. Nasce una causa, e il sindacato dei registi varerà la cosiddetta “legge Eastwood”, che vieta la sostituzione di un regista con uno qualsiasi della troupe del medesimo film» (Dell’Olio). «Nel frattempo tiene a battesimo M. Cimino (Una calibro 20 per lo specialista, 1974) e si esibisce nelle caratterizzazioni di poliziotto coriaceo (L’uomo nel mirino, 1977), cowboy scanzonato (Bronco Billy, 1980) e militare di carriera (Firefox – Volpe di fuoco, 1982), dando corpo alla magistrale asciuttezza di Siegel in Fuga da Alcatraz (1979), vero capolavoro del genere carcerario, in cui interpreta con straordinaria sobrietà la figura di un ergastolano che riesce a evadere dal penitenziario più sicuro d’America. La nostalgia patinata di Honkytonk Man (1982) e uno stanco Callaghan (Coraggio… fatti ammazzare, 1983), più efficace in mani altrui (Scommessa con la morte, 1988, di B. Van Horn), precedono la rievocazione di Charlie Parker in dense atmosfere notturne intrise di be-bop (Bird, 1988, in cui non compare come attore). Tornato al western con un’elegia crepuscolare in bilico tra caratterizzazione classica e disincantata, smitizzante rilettura moderna (Gli spietati, 1992, quattro Oscar), pur rimanendo icona del cinema d’azione (Nel centro del mirino, di W. Petersen), l’Eastwood maturo si mostra anche critico verso il sistema, con raro rigore etico, attraverso la tensione stemperata e la tenerezza traboccante di Un mondo perfetto (1993). Imprevedibile nella struggente deriva sentimentale (I ponti di Madison County, 1995), come nella prova di acuto mestierante (Potere assoluto, 1996), passa al setaccio le contraddizioni della cultura e delle istituzioni americane con affreschi sociali al vetriolo (Mezzanotte nel giardino del bene e del male, 1997) e in oliati meccanismi da thriller (Fino a prova contraria, 1999). Settantenne inossidabile, porta il western in orbita con Space Cowboys (2000) e riceve a Venezia il Leone alla carriera. Nel 2002 torna al thriller venato da atmosfere noir in Debito di sangue, film che scrive, dirige, interpreta e produce, confermando la sua vocazione di film-maker totale e la sua capacità di piegare la lezione dei classici del cinema alla sensibilità e alle attese del pubblico contemporaneo. I due film successivi – in assoluto fra le prove migliori di Eastwood – sono capolavori di eleganza, forza emotiva, stile e sobrietà: Mystic River (2003) è una tragedia americana impastata di sangue, rancore e nostalgia per la fine dell’amicizia e la perdita dell’innocenza, mentre con Million Dollar Baby (2005) vince i due Oscar più importanti (miglior film e miglior regia) raccontando la storia di un vecchio allenatore di boxe – interpretato dallo stesso Eastwood – che porta una giovane emarginata fino alla soglia del titolo mondiale e poi – dopo un incidente che la immobilizza in un letto senza più speranze di guarigione – la aiuta dolcemente a morire. Con voce asciutta e sommessa, e con un’economia espressiva che sfiora il sublime, Eastwood conferma con questi due film la sua statura di gigante» (Mascia). Numerose le pellicole dirette da Eastwood negli ultimi anni, affrontando le guerre combattute dagli Stati Uniti (Flags of Our Fathers, Lettere da Iwo Jima, American Sniper), controversi episodi di cronaca (Changeling, Sully) e personaggi della storia recente (Invictus – L’invicibile, su Nelson Mandela, e J. Edgar, sullo storico direttore dell’Fbi J. Edgar Hoover), senza peraltro rinunciare a cimentarsi in generi differenti, quali il fantastico (Hereafter) e l’azione (Ore 15.17 – Attacco al treno). Se la maggior parte di tali film ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica (tra i più apprezzati, Changeling, Invictus – L’invincibile e American Sniper), a essere generalmente considerato il suo vero capolavoro è però Gran Torino (2008), in cui «Clint raccoglie in un unico personaggio l’eredità di Dirty Harry [l’ispettore Harry Callaghan – ndr] (del cui ciclo questo film rappresenta una sorta di conclusione, come Gli spietati dei western) e quella di Thomas Highway (ìl sergente di Gunny), portando a compimento una riflessione sulla vendetta e sulla violenza iniziata […] per le strade di San Francisco. E, attraverso la storia di un vecchio razzista, solo tra le macerie di tutto ciò che ha amato e capito del suo Paese (l’ispettore Callaghan alla soglia della tomba), e quella della famiglia di immigrati asiatici che gli sta a fianco, Eastwood arriva a un epilogo di bellezza e limpidità straordinarie: la 44 Magnum è diventata un dito puntato, le chiavi della (Ford) Gran Torino – e il futuro dell’America – nelle mani di un ragazzino introverso con gli occhi a mandorla» (Giulia D’Agnolo Vallan). Da ultimo, nel 2018 è giunto nelle sale cinematografiche Il corriere – The Mule, in cui Eastwood è tornato a dirigere se stesso. «“Volevo una storia vera per il mio film The Mule e l’ho trovata per me, regista e attore. Sono nato nel 1930: il mio protagonista, Earl Stone, ha 80 anni. Consapevolmente o inconsapevolmente, trasporta droga tra la frontiera messicana e quella americana, attraversando il deserto del Nuovo Messico”, dice Clint Eastwood. Non recitava come protagonista dal 2012. Clint aveva letto sul New York Times Magazine la storia di Earl Stone ed è stato subito colpito dalla vicenda di un uomo disperato, vecchio reduce di guerra, che a un certo punto della sua vita ha perso tutto, viene coinvolto in un giro di trafficanti ma ama la sua famiglia… “Più vai avanti con gli anni, più ti rendi conto che devi sempre imparare qualcosa. Anche il mio Earl osserva, impara e come me ha una regola: ‘So, you keep going’, tu continui ad andare avanti”, dice» (Giovanna Grassi). Ancora attivissimo nonostante l’età avanzata, Eastwood è già al lavoro sul suo prossimo progetto cinematografico, The Ballad of Richard Jewell. «Si tratta della storia vera di Richard Jewell, una guardia giurata di AT&T che aiutò a salvare vite in occasione dell’attentato dinamitardo alle Olimpiadi di Atlanta, nel 1996. Jewell segnalò la presenza di uno zaino pieno di esplosivo nel Centennial Olympic Park, consentendo che l’area venisse sgomberata prima dell’esplosione. Jewell fu in seguito sospettato di essere l’artefice dell’attentato, e la sua vita privata e professionale vennero fortemente danneggiate dal processo mediatico. L’uomo fu poi totalmente scagionato quando fu scoperto il vero colpevole, Eric Robert Rudolph. Jewell sarebbe morto poco dopo, nel 2007, per un attacco cardiaco dovuto al diabete» (Marco Triolo). «Il segreto della longevità è uno solo: cambiare, cambiare di continuo e cercare sempre cose nuove con le quali cimentarsi. Finché sarò lucido offrirò al pubblico quello che mi è possibile» • «Da piccolo non ero molto bravo a suonare il piano: ricordo che la mamma voleva sempre che mi esercitassi e io mi rifiutavo. Poi ho scoperto che, anche se non ero bravo, serviva comunque ad attirare le ragazzine, e così ho iniziato a prenderlo più seriamente. E ho finito per scrivere la musica per alcuni dei miei film» • «Ha mai rimpianto di aver rifiutato il ruolo di James Bond quando Sean Connery smise di interpretarlo? "No. Pensavo che 007 dovesse essere inglese. Sono di discendenza britannica, ma non è la stessa cosa. Oltretutto non era proprio un ruolo per il quale avessi un debole"» (Roald Rynning) • Vita sentimentale particolarmente intensa: due matrimoni e due convivenze more uxorio alle spalle e almeno nove figli, tre dei quali nati dalla prima moglie e uno dalla seconda (gli altri da relazioni spesso occasionali) • Dal 1986 al 1988 Eastwood è stato il sindaco – politicamente indipendente – di Carmel-by-the-Sea, piccolo paese californiano che «è il suo paradiso privato da quando, negli anni Cinquanta, ai tempi della Guerra di Corea, svolse qui il suo servizio di leva nella vicina base di Fort Ord e scoprì questa bolla di lusso e sofisticatezza. Qui ha cresciuto i suoi figli, qui ha vissuto con le sue donne, qui si rifugia dallo strepito della vita mondana. E qui gioca a golf. Non è l’America dei suoi film: le strade malfamate, le città degradate, le brulle praterie del Far West. A Carmel […] Eastwood possiede un pub, un villaggio turistico, un circolo di golf» (Marc Bassets) • «Se […] guardiamo allo scacchiere politico americano, direi che sono troppo individualista per stare a sinistra o a destra. Mi hanno sempre dipinto come un repubblicano conservatore, ma io non sono d’accordo con questa definizione. In realtà sono un repubblicano della vecchia guardia. La prima volta che ho votato, lo feci per Eisenhower, negli anni Cinquanta. Ma non sono uno di parte. E ci sono state occasioni nelle quali ho votato per i democratici. Mi accosto alla politica da cittadino, non da ideologo. Gli ideologi sono le persone più noiose al mondo». «Dagli anni Cinquanta a oggi, repubblicani e democratici sono cambiati moltissimo. Personalmente, mi sento più vicino al punto di vista dei libertari. L’idea di essere lasciati in pace, senza troppe leggi, regole e cose del genere, è molto attraente per chi, come me, è cresciuto negli anni Trenta e ha visto i suoi genitori lottare contro la povertà. In quel periodo, nessuno si aspettava nulla gratis. Oggi, politicamente parlando, si promette tutto a tutti. È l’unico modo di essere eletto. Per me è una perversione della politica. Questa è un’èra molto confusa». «Sono un conservatore sul piano fiscale, ma sono liberal sul piano sociale». Eastwood non esitò a schierarsi al fianco del candidato repubblicano alla presidenza né nel 2008 (per John McCain) né nel 2012 (per Mitt Romney), anno in cui, sul palco della convenzione nazionale repubblicana, inscenò un’intervista al presidente Barack Obama rivolgendo domande a una sedia vuota. Non altrettanto esplicita nel 2016 la sua preferenza per Donald Trump, pure in più occasioni adombrata • «Segretamente tutti si stanno stancando del politicamente corretto, di leccare il culo. È un’epoca di leccaculo quella in cui ci troviamo adesso. Siamo davvero in un’epoca di fighetti. Tutti camminano sulle uova. Vediamo gente accusare altra gente di razzismo e cose del genere. Quando sono cresciuto io, quelle cose non erano chiamate razziste. E quando ho fatto Gran Torino perfino un mio socio mi ha detto: “Questa è davvero una sceneggiatura eccellente, ma è politicamente scorretta”. Io ho risposto: “Bene, fammela leggere stanotte”. La mattina successiva sono andato da lui, gliel’ho tirata sulla scrivania e ho detto: “Iniziamo immediatamente”» (a Michael Hainey). «Negli anni Trenta tutti erano senza lavoro, tutti erano nella stessa barca. In California, almeno così ricordo io, ci si prendeva in giro, tra bianchi e ispanici, tra americani e italiani, con un linguaggio che oggi sarebbe definito politicamente scorretto. Ma c’era più tolleranza rispetto all’ipocrisia di oggi» • «Californiano lungo e laconico, dal viso immobile (o enigmatico, secondo i gusti). […] Quando colui che era stato un ripiego si è imposto non solo come star, ma anche come regista e produttore molto più prolifico di Leone, il regista scomparso lo ha ricordato come un attore con due sole espressioni: con cappello e senza cappello. Anche se le motivazioni per la stroncatura non erano delle più nobili, l’italiano non aveva tutti i torti. […] La verità ultima è che quest’uomo, con le sue modeste doti di partenza, ha sfruttato all’osso come nessuno mai ogni stilla di potenziale che possedeva. Di quanti, molto più geniali di lui, si può dire lo stesso? E, se a volta osa troppo, potremmo dire, con Robert Browning: “Se la mèta di un uomo non supera la sua portata, / A che serve un paradiso?”» (Dell’Olio). «Non c’è dubbio che Eastwood sia un autore da Americana, un narratore tradizionale di storie “extraurbane” – perché, uomo dei grandi spazi, non potrebbe essergli più estraneo il mondo della megalopoli che costituisce lo sfondo di metà del cinema made in Usa, mentre fanno appello al suo cuore di loner, di solitario, il mondo della provincia, delle piccole città, delle pianure e delle montagne del West: quello che ha raccontato in una serie di piccoli e grandi film» (Irene Bignardi). «“Ma che americano è stato Clint Eastwood! Forse non è mai esistito un altro americano come lui”, scrisse nel 1983 Norman Mailer, uno dei primi a scorgere in Eastwood qualcosa di più del tipo da western e film d’azione che tutti conoscevano. In un’epoca in cui critici e intellettuali lo disprezzavano, Mailer lo paragonava a Hemingway. “Quello che distingueva Eastwood da altre star”, ha scritto, “era che i suoi film (specie da quando ha cominciato a dirigerli) finivano per parlare, via via sempre di più, della sua visione della vita in America”» (Bassets). «“Essendo una star e un simbolo alla John Wayne, non lo prendono sul serio dietro alla macchina da presa, così come accade per le belle ragazze marchiate come incapaci di recitare per la loro avvenenza. Dopo aver visto per la quarta volta Il texano dagli occhi di ghiaccio, sono sicuro che appartenga alla categoria dei grandi western, la stessa di Ford e di Hawks. E io, Orson Welles, mi tolgo il cappello”. […] Ora, […] la profezia di Welles è compiuta. […] Clint Eastwood è uno dei più grandi, se non il più grande regista vivente. […] Eastwood ha osservato e rubato l’arte ai suoi maestri, Leone e Don Siegel su tutti. Seguendo ancora la bussola di Welles: i suoi film hanno la misura epica dei classici, come un Ford o un Hawks, appunto, e per questo sono modernissimi. Senza tempo: inquadrature secche, forma asciutta e rigore. Ma con dentro una tale densità di storie e vissuti e personaggi e pensiero da lasciare molto spesso senza fiato. Più è invecchiato più Eastwood è entrato nel cuore del cinema. Senza un genere prediletto che non sia la vita. E l’America con le sue contraddizioni, le sue miserie e il suo eroismo, fatti di gloria e di fallimenti. Il suo sguardo è morale: ogni film, ogni storia è una discesa verso gli archetipi della Grande Storia Americana» (Ilario Lombardo) • «Detesto fare molte prove e varie riprese. Mi piace dirigere come sono stato diretto io, il che significa che mi faccio avanti e faccio vedere come vorrei che fosse interpretata una scena. Se invece non piace come la intendo io, lascio che a parlare siano gli altri. e ci si mette d’accordo. In ogni caso, non dico mai: "Stai lì, ripeti le battute, anzi facciamolo per 25 volte!". Potrei ammuffire…"» • «Mi piacciono i personaggi eroici con debolezze personali. Sono i personaggi con cui mi identifico. Ho recitato il super-macho a sufficienza. […] Ho sempre raccontato personaggi appartenenti a minoranze, ma non ho nessuna crociata da portare avanti» • «Per interessarmi davvero, una storia non deve svolgersi in una grande area urbana. Nelle piccole cittadine e negli spazi aperti accadono cose alle quali pochi prestano attenzione. A me piace cambiare, provare di tutto. […] Non so neanch’io perché racconto storie di questo tipo. Forse solo perché non lo fa più nessuno». «Mi piace fare le cose con calma. Gioco a golf quasi tutti giorni e mi piace bere birra Budweiser. La cosa più bella, però, è che mi piaccia ancora lavorare. Credo che sia questo a tenermi giovane: tenere sempre il cervello bene in funzione». «Non ho mai saputo in quale direzione mi sarei diretto: mi ci sono semplicemente trovato. La vita è stata una corsa. Mi ha reso fatalista. Credo che il fato abbia un grosso peso nella nostra vita, e che sia lui a guidarci. Posso dirlo: non ho avuto altro mentore in vita mia al di fuori del destino».