Corriere della Sera, 30 maggio 2019
Laura Morante Voleva fare la ballerina
Quella volta che Carmelo Bene la fece sequestrare in un teatro se la ricorda ancora ridendo: «Dovevo rientrare nella mia compagnia di danza da cui ero stata soltanto “prestata” a Carmelo per partecipare a un suo spettacolo – racconta Laura Morante – ma lui non era d’accordo e mi fece rinchiudere in un camerino al Teatro Quirino, guardata a vista dal suo direttore di scena».
Era preoccupata?
«Per niente! Semmai divertita, solo che, quando finalmente fui liberata, arrivai in ritardo all’appuntamento con i miei compagni danzatori: loro pensavano che mi fossi inventata il “rapimento” e, nello spettacolo successivo, venni punita, mi relegarono in un ruolo minore».
L’attrice toscana il 3 giugno sarà protagonista della VI edizione del Festival della Bellezza al Teatro Romano di Verona: una manifestazione ispirata a Dante, Mozart e Shakespeare che quest’anno viene dedicata al tema «L’Anima e le Forme». Laura Morante racconterà la sua idea di bellezza, attraverso il percorso di attrice e scrittrice.
«Con Carmelo Bene ho esordito in palcoscenico – continua —. Un maestro unico, leggendario».
Un carattere difficile...
«Difficile? Arrivò a licenziarmi in tronco perché mi rifiutavo di indossare un’orrenda calzamaglia trasparente. Io non mi arresi e attivai contro di lui una vertenza sindacale anche perché, pur essendo generoso, a noi attori non ci pagava, diceva: “Dovete essere voi a pagare me, per ciò che vi faccio fare!”. Una sera entrai nel suo camerino urlando a pugno chiuso: el pueblo unido jamás será vencido..».
Carmelo Bene il primo maestro in teatro. Giuseppe e Bernardo Bertolucci i primi maestri nel cinema. Esordi impegnativi per una giovane attrice.
«Recitare non mi attirava affatto. Con la recitazione è stato un matrimonio d’interesse, perché mi pagavano, non d’amore. Ero nata ballerina, volevo solo ballare e scrivere. Quando da ragazza mi chiedevano che lavoro facevo, rispondevo: lavoro nel mondo dello spettacolo, non precisando “attrice”, mi sembrava degradante. Ricordo una battuta di Laura Betti, che era molto protettiva nei miei confronti, mi disse: “Ti fa sempre tanto schifo fare l’attrice’”».
Insomma, attrice per caso?
«Bernardo Bertolucci cominciò a farmi appassionare: ero affascinata dalla sua devozione al cinema, sul set non era mai stanco e deve avermi contagiato, iniziai a capire che, in quel lavoro, c’era qualcosa che mi sfuggiva e valeva la pena di approfondire».
Ruoli drammatici o comici? Lei li ha fatti entrambi.
«Non li vedo contrapposti e questo l’ho capito soprattutto lavorando con Nanni Moretti. Nel film La stanza del figlio, nonostante il tema drammatico, c’era una lieve stonatura tra dramma e risata, la volontà di non limitarsi a riprodurre il dolore, ma renderlo reale con una vena di umorismo. A me piacerebbe tanto interpretare proprio una tragedia classica: non ho più l’età per Antigone, ma Medea potrei ancora».
A proposito d’età...
«Per carità, non mi faccia pure lei la domanda sugli anni che avanzano! La prima volta, pensi un po’, me la fecero alla soglia dei quarant’anni. E la sua prossima domanda sarà sulla chirurgia estetica».
Lei non l’approva, giusto?
«Se oggi qualcuno mi proponesse di bere una pozione magica per ringiovanire di botto, la berrei... Quanto alla chirurgia, ho visto una mia cara amica anoressica, giovanissima, col volto devastato, dimostrava trent’anni di più. Grazie a un intervento di plastica è rinata. In questo caso la chirurgia è benedetta, poi ci sono gli abusi di chi vuole cancellare le rughe...».
Anna Magnani ordinò al truccatore: «Lasciami tutte le rughe, c’ho messo una vita a farmele».
«Appunto. Un conto è mantenere il proprio aspetto finché si può, un conto è cancellare la propria espressione: assolutamente no. Un viso perfetto è inespressivo, senza storia».
Però, al contrario del teatro, nel cinema le attrici in là con gli anni sono penalizzate.
«A teatro non c’è il primo piano, al cinema sì. Le donne devono diventare soggetti, ma sono ottimista: rispetto a quando dovevamo essere solo belle e sexy, un piccolissimo passo in avanti si è fatto».
Errori o rimpianti?
«Quando ho rifiutato di affrontare un ruolo per paura di fallire. Con il trascorrere degli anni, i fallimenti del passato contano zero, ci ridi sopra. Conta molto invece il non aver accettato una sfida per timore di non vincerla».
Per esempio?
«Quando non feci un provino con Caroline Carlson, dicendo: figurati se prende me...».
Forse per timidezza?
«Sono un po’ timida come tutti gli attori. Ma Jean-Louis Trintignant, altrettanto timido, mi disse che aveva smesso di esserlo, quando capì che era egocentrismo. Se ci si dà meno importanza, la timidezza sparisce. Questo mestiere va fatto seriamente, senza prendersi troppo sul serio».