Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 30 Giovedì calendario

John Cage maestro del silenzio

«Ho avuto più riscontro con questo libro di quanto non ne abbia avuto con qualsiasi disco; qualsiasi pezzo; qualsiasi concerto». Capita che a John Cage sia andata proprio così: successo per il libro e poca comprensione (fino ad allora) per la sua musica. Silenzio , il volume in questione, pubblicato nel 1961 per la Wesley University Press, viene infatti definito dallo studioso Kyle Gann – che firma la prefazione alla nuova edizione de il Saggiatore – «il libro universalmente riconosciuto come più autorevole mai scritto da un compositore americano». E a Cage questo libro – che a tutt’oggi ha venduto mezzo milione di copie – è servito davvero per dargli modo di essere finalmente ascoltato come musicista. Secondo Gann questo testo «cambiò migliaia di vite». Per citarne una, quella del compositore americano John Adams (1947), fra i più eseguiti al mondo (si pensi al suo Nixon in China del 1977), che ricorda: «Dopo averlo letto continuai a tornarci sopra quasi fosse un testo sacro». 
La scrittura è sempre stata per Cage attività prediletta, prima ancora della musica. E lo dimostra nelle pagine di Silenzio. L’articolo di Cage su Robert Rauschenberg (1925-2008) che vi è contenuto viene per esempio citato nella maggioranza della bibliografia che riguarda l’artista. Cage – che aveva studiato con Henry Cowell (1897-1965) e Arnold Schönberg (1874-1951) e che ammirava la musica di Erik Satie (1866-1925)— quando il libro uscì era un quarantanovenne che viveva nella sua raffinata e spensierata povertà. Ma improvvisamente diventò un punto di riferimento per una generazione di artisti. Per il danzatore e coreografo Merce Cunningham (1919-2009), il pittore Jasper Johns (1930), il pittore e scultore Willem de Kooning (1904-1997). Per non parlare dei musicisti, fra i quali Christian Wolff (1934), David Tudor (1926-1996), Earle Brown (1926-2002) e Morton Feldman (1926-1987), che seguiva Cage – come suggerisce Wilfrid Mellers nel suo prezioso Musica nel Nuovo Mondo (Einaudi, 1975) – «nel portare all’estrema conseguenza la liberazione della nota iniziata da Anton Webern, come frutto della liberazione dell’accordo da parte di Claude Debussy». 
Proviamo a tradurre. Cage prendeva ogni suono o rumore singolo come un evento udibile, completo in sé stesso, e quindi incapace di sviluppo. In senso tradizionale non vi sono nemmeno melodia e armonia nella sua musica e neppure ritmo, come è concepito dai compositori europei. Cage disponeva semplicemente i suoi suoni evento l’uno dopo l’altro e il loro rapporto era costituito soltanto dalla loro coesistenza nello spazio. 
Silenzio deve il suo titolo al brano rivoluzionario 4’33” del 1952, in cui l’esecutore non fa assolutamente nulla per 4 minuti e 33 secondi. La musica la creano l’attesa, il nervosismo del pubblico, lo scricchiolio delle sedie, i colpi i tosse… «Sentivo e speravo – diceva Cage – di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto». 

Nessuno, o quasi, colse il significato allora. Eppure, con 4’33” — che poi in realtà viene citato poco all’interno di Silenzio — Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato radicalmente l’atteggiamento nei confronti del sonoro, invitando ad ascoltare il mondo: io decido che ciò che ascolto è musica. O, altrimenti detto: è l’intenzione d’ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Ciò implica di conseguenza una nuova e rivoluzionaria definizione di musica. Cage voleva dimostrare «che fare qualcosa che non sia musica è musica» e ha sempre mostrato una totale indifferenza nei confronti dell’emozione rispetto ai suoni. «Per me il significato essenziale del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione», una rinuncia alla centralità dell’uomo, il che implica l’eliminazione totale del gusto, del ricordo, e del desiderio, una regressione e una rinascita all’innocenza. Cage – scrive ancora Kann – non era un filosofo perché non ci ha imposto cosa pensare o come farlo. Ma le sue affermazioni ci hanno permesso di pensare in autonomia.