Corriere della Sera, 30 maggio 2019
John Cage maestro del silenzio
«Ho avuto più riscontro con questo libro di quanto non ne abbia avuto con qualsiasi disco; qualsiasi pezzo; qualsiasi concerto». Capita che a John Cage sia andata proprio così: successo per il libro e poca comprensione (fino ad allora) per la sua musica. Silenzio , il volume in questione, pubblicato nel 1961 per la Wesley University Press, viene infatti definito dallo studioso Kyle Gann – che firma la prefazione alla nuova edizione de il Saggiatore – «il libro universalmente riconosciuto come più autorevole mai scritto da un compositore americano». E a Cage questo libro – che a tutt’oggi ha venduto mezzo milione di copie – è servito davvero per dargli modo di essere finalmente ascoltato come musicista. Secondo Gann questo testo «cambiò migliaia di vite». Per citarne una, quella del compositore americano John Adams (1947), fra i più eseguiti al mondo (si pensi al suo Nixon in China del 1977), che ricorda: «Dopo averlo letto continuai a tornarci sopra quasi fosse un testo sacro».
La scrittura è sempre stata per Cage attività prediletta, prima ancora della musica. E lo dimostra nelle pagine di Silenzio. L’articolo di Cage su Robert Rauschenberg (1925-2008) che vi è contenuto viene per esempio citato nella maggioranza della bibliografia che riguarda l’artista. Cage – che aveva studiato con Henry Cowell (1897-1965) e Arnold Schönberg (1874-1951) e che ammirava la musica di Erik Satie (1866-1925)— quando il libro uscì era un quarantanovenne che viveva nella sua raffinata e spensierata povertà. Ma improvvisamente diventò un punto di riferimento per una generazione di artisti. Per il danzatore e coreografo Merce Cunningham (1919-2009), il pittore Jasper Johns (1930), il pittore e scultore Willem de Kooning (1904-1997). Per non parlare dei musicisti, fra i quali Christian Wolff (1934), David Tudor (1926-1996), Earle Brown (1926-2002) e Morton Feldman (1926-1987), che seguiva Cage – come suggerisce Wilfrid Mellers nel suo prezioso Musica nel Nuovo Mondo (Einaudi, 1975) – «nel portare all’estrema conseguenza la liberazione della nota iniziata da Anton Webern, come frutto della liberazione dell’accordo da parte di Claude Debussy».
Proviamo a tradurre. Cage prendeva ogni suono o rumore singolo come un evento udibile, completo in sé stesso, e quindi incapace di sviluppo. In senso tradizionale non vi sono nemmeno melodia e armonia nella sua musica e neppure ritmo, come è concepito dai compositori europei. Cage disponeva semplicemente i suoi suoni evento l’uno dopo l’altro e il loro rapporto era costituito soltanto dalla loro coesistenza nello spazio.
Silenzio deve il suo titolo al brano rivoluzionario 4’33” del 1952, in cui l’esecutore non fa assolutamente nulla per 4 minuti e 33 secondi. La musica la creano l’attesa, il nervosismo del pubblico, lo scricchiolio delle sedie, i colpi i tosse… «Sentivo e speravo – diceva Cage – di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto».
Nessuno, o quasi, colse il significato allora. Eppure, con 4’33” — che poi in realtà viene citato poco all’interno di Silenzio — Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato radicalmente l’atteggiamento nei confronti del sonoro, invitando ad ascoltare il mondo: io decido che ciò che ascolto è musica. O, altrimenti detto: è l’intenzione d’ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Ciò implica di conseguenza una nuova e rivoluzionaria definizione di musica. Cage voleva dimostrare «che fare qualcosa che non sia musica è musica» e ha sempre mostrato una totale indifferenza nei confronti dell’emozione rispetto ai suoni. «Per me il significato essenziale del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione», una rinuncia alla centralità dell’uomo, il che implica l’eliminazione totale del gusto, del ricordo, e del desiderio, una regressione e una rinascita all’innocenza. Cage – scrive ancora Kann – non era un filosofo perché non ci ha imposto cosa pensare o come farlo. Ma le sue affermazioni ci hanno permesso di pensare in autonomia.