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 2019  maggio 30 Giovedì calendario

Beneficenza, gara di Vip

Bill Gates è stato un precursore della tendenza che da qualche anno caratterizza molti degli imprenditori e finanzieri più ricchi del mondo: già negli anni ’90 spiegò che, del suo immenso patrimonio da fondatore della Microsoft, intorno ai 100 miliardi di dollari, avrebbe lasciato ai figli – sono due ragazze e un ragazzo – meno delle briciole, dieci milioni di dollari a testa. Spendendo il resto in beneficenza (la sua fondazione, che ha a disposizione in cassa circa 50 miliardi di dollari, sta facendo da anni un lavoro capillare contro la malaria, volto a debellare la malattia della quale soffrono nel mondo oltre mezzo miliardo di persone e che uccide un bambino ogni trenta secondi). Il motivo che ha spinto Gates e la moglie Melinda a, in pratica, diseredare i figli? «Non volevamo far piovere sulle loro teste tanto di quel denaro da spingerli a non combinare niente con le loro vite», taglia corto Gates, che se fosse un po’ più furbescamente mediatico (non lo aiuta l’attaccamento al look genere «Rivincita dei Nerds») e meno schivo avrebbe probabilmente un seguito di ammiratori pari a quello dell’amico-nemico Steve Jobs, genio del marketing e della tecnologia al quale la beneficenza interessava relativamente. 
L’ultima miliardaria a seguire la linea-Gates è Mackenzie Bezos, ex-moglie del fondatore di Amazon (e editore del Washington Post) Jeff Bezos, protagonista del costoso divorzio che le ha reso 37 miliardi di dollari (in azioni di Amazon, secondo la quotazione attuale). Mackenzie Bezos, con ammirevole franchezza, illustrando i suoi programmi nel campo della filantropia ha ammesso che «ho una quantità sproporzionata di denaro da condividere… il mio approccio continuerà a essere ragionato. Ci vorrà tempo, lavoro, attenzione. Ma non ho intenzione di aspettare. E continuerò finché la cassaforte non si sarà svuotata». E ha così sottoscritto il cosiddetto «Giving Pledge», impegno a donare, ideato nel 2010 dai coniugi Gates e dal re della finanza Warren Buffett, per «affermare un nuovo standard di generosità». Un club molto esclusivo nel quale si entra promettendo di donare in beneficenza almeno metà del proprio patrimonio. Tra i primi a aderire il fondatore della Cnn Ted Turner, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg. Tre anni dopo il «Pledge» si è allargato dagli Usa a Australia, Emirati, Germania, India, Malesia, Russia, Sudafrica, Ucraina e Regno Unito. Sono, al momento, in 204. Altri nomi famosi? Mark Zuckerberg (che ha promesso di donare in beneficenza più della metà dei suoi averi: il 99%), Richard Branson della Virgin, Lord Sainsbury dei supermarket britannici. 
Mackenzie Bezos, sposata per 26 anni con Jeff, ha 49 anni, quattro figli, un curriculum di ottimi studi (all’Università di Princeton), è una donna brillantissima – il contrasto con il laconico marito, altresì dotato di una famosa, allarmante risata improvvisa, era evidente quando apparivano in pubblico – definita dal premio Nobel per la Letteratura Toni Morrison, sua insegnante all’università, «tra gli studenti più dotati». 
È ora, dopo un divorzio civilissimo nei termini delle dichiarazioni pubbliche ma mediaticamente spiacevole per il tradimento smascherato da un tabloid con strascico di tentata estorsione ai danni di Jeff Bezos, la terza donna più ricca del mondo dietro a Alice Walton dei supermercati Wal-Mart (molto attiva nel mondo dell’arte) e Françoise Bettencourt-Meyers erede dell’impero L’Oréal (scrive libri sull’antichità greca e sulla Bibbia). In passato Mackenzie Bezos ha pubblicato un romanzo recensito in genere positivamente, The Testing of Luther Albright , e si è occupata, nel campo della beneficenza, di una fondazione anti-bullismo.