Antonello Piroso per la Verità, 29 maggio 2019
“SALVINI È ROCK, DI MAIO È LENTO”, PER IL SOCIOLOGO LUCA RICOLFI IL LEADER DEL CARROCCIO È IL POLITICO PIÙ MODERNO: "A CONFRONTO, ANCHE IL CAPO DEL M5S SEMBRA VECCHIO" - E SUL PD: "UN MOVIMENTO RIFORMISTA AL 20% SENZA NESSUNO ALLA PROPRIA SINISTRA RAPPRESENTA UNA CATASTROFE" - "PAPA BERGOGLIO? LA SUA POPOLARITÀ È SOPRAVVALUTATA, PER NON DIRE "DROGATA" DALLA TENUTA DEL...” -
«Matteo Salvini è rock, Luigi Di Maio è lento». Il sociologo Luca Ricolfi - uomo di numeri: insegna analisi dei dati all' Università di Torino, ed è responsabile scientifico della fondazione David Hume - ricorre al parametro binario di Adriano Celentano per commentare l' esito delle elezioni europee, che hanno terremotato i rapporti di forza tra i due partiti di governo, e la politica tutta. Salvini ha portato la Lega a una crescita esponenziale: dal 1.700.000 voti alle europee 2014 ai 9.150.000 di domenica, passando per i 5.700.000 delle politiche 2018. «Perché ha la capacità di parlare chiaro e una straordinaria aderenza al senso comune, cui fa da contraltare la vecchiezza culturale degli altri leader, eccetto Giorgia Meloni. Da questo punto di vista anche Di Maio, nonostante la giovane età, è vecchio».
Pare che 1.500.000 voti siano arrivati da ex elettori del M5s, oltre quelli da una Forza Italia «vampirizzata». «Così dicono le stime dei flussi elettorali. Ma la vera domanda per me è un' altra: quanto del 40% del Pd renziano del 2014 è finito nel 34% della Lega nel 2019? Il dato più interessante delle inchieste giornalistiche degli ultimi mesi è che dichiaravano di scegliere Salvini anche tantissimi operai e progressisti vari, che continuano a sentirsi di sinistra, o addirittura comunisti».
I detrattori osservano: il trionfo della Lega non è però un plebiscito, tanto più con l' affluenza in calo (il 56.1% contro il 58,69% del 2014), se confrontato con gli 11.200.000 voti di quel Pd nel 2014. «I detrattori farebbero meglio a fare il ragionamento inverso. Nove milioni di voti sono tanti proprio perché la partecipazione alle europee è molto più bassa che alle politiche. Con un' affluenza del 75%, i voti a Salvini sarebbero stati circa 12 milioni, che nella storia delle elezioni italiane è storicamente "il pieno" dei voti. Nella seconda Repubblica è stato raggiunto solo alle politiche del 2008: dal Pd di Walter Veltroni che toccò i 12.100.000, battuto però dal Popolo della Libertà, subito dopo l' annessione di Alleanza Nazionale, che arrivò addirittura a 13.600.000». Per il M5s, è stata una débâcle: un anno fa 10.700.000 voti, domenica 4.535.000. Perfino sotto i 5.800.000 del 2014.
È solo un problema di leadership, perché Di Maio si è dimostrato unfit to lead, inadatto a governare? «È un aspetto, ma non il solo. Per il M5s c' è anche un problema di confusione nei contenuti, e di impreparazione della classe dirigente».
I grillini irriducibili ricordano che il precedente combinato disposto «politiche 2013-europee 2014» presentava un' analoga dinamica: 8.700.000 voti prima, e appunto 5.800.000 l' anno successivo. «Non è un ragionamento sbagliato, penso anch' io che se si fosse votato per le politiche, nel Mezzogiorno l' astensionismo sarebbe stato meno alto, e quindi i 5 Stelle avrebbero ottenuto un risultato migliore».
Migliore di quanto? «Difficile dirlo, ma una mia rozza stima vede Pd e M5s entrambi appena al di sopra del 20%».
Soglia psicologica che il Pd ha superato (il 22.69% contro il 18.7% del 4 marzo 2018). Ma i voti sono rimasti gli stessi, anzi: se ne sono persi per strada circa 110.000, l' ha sottolineato perfino Carlo Calenda. «Vale per il Pd quello che dicevo per la Lega: se le elezioni fossero state politiche, i voti sarebbero stati intorno ai 7 milioni, ossia di più di quelli presi l' anno scorso. Sempre molto pochi, però, anche tenuto conto che oltre il Pd c' è ben poco, solo liste bonsai. Un partito riformista al 20% accanto a una sinistra estrema, nuova o radicale del 10-15% è un conto, un partito riformista al 20% che non ha quasi nessuno alla propria sinistra rappresenta una catastrofe elettorale per il mondo progressista».
Berlusconi è un misirizzi: è stato eletto al Parlamento europeo. Ma Forza Italia è, con il M5s, la sicura sconfitta di questa tornata: dai 4.600.000 voti del 2014 e del 2018, ai 2.350.000 di oggi. Siamo al de profundis? «Sì, lo siamo, è incredibile che essendo in costante declino da 10 anni non si siano inventati niente per non scomparire».
Chi ha motivi di gongolare è Giorgia Meloni, anche lei indiscussa vincitrice: 1.000.000 di voti nel 2014, 1.430.000 nel 2018, 1.730.000 oggi. La Lega è cresciuta a spese degli azzurri del cavaliere, ma senza intaccare il suo bacino elettorale «Se nulla cambiasse nell' offerta politica, il prossimo sorpasso cui assisteremmo è quello della Meloni su Berlusconi».
Non sembra che la contrapposizione polemica con papa Francesco, e la controversa invocazione alla Madonna, siano stati penalizzanti per Salvini. «La popolarità di papa Francesco è sopravvalutata, per non dire "drogata", dalla tenuta del politicamente corretto nell' establishment culturale e soprattutto nei media. Fra la gente il Papa è molto meno popolare di quanto credono i telegiornali. Per molti, papa Francesco è più l' unico leader che è rimasto alla sinistra che non il capo della Chiesa».
Come può andare avanti ora il governo di Giuseppe Conte con i "separati in casa"? Le percentuali alle Europee si sono invertite, ma i seggi in Parlamento riflettono sempre quelle del 2018. «Penso che i 5 Stelle siano sufficientemente affezionati alle poltrone da non azzardare provocazioni che portino ad elezioni anticipate. La mossa la farà Salvini, ma farà di tutto per addossarne la responsabilità ai grillini».
Sullo sfondo, in autunno, la prossima legge di bilancio, che potrebbe essere da lacrime e sangue. «Non lo credo. Salvini preferirà sfondare il tetto del 3% piuttosto che imporre sacrifici agli italiani. La vera domanda per me non è dove troverà i soldi, né che cosa ci consentirà di fare l' Europa, bensì che cosa succederà se i mercati reagiranno a una finanziaria allegra».
Una valutazione infine sull' accelerazione dei cicli in politica. Dal cosiddetto ventennio berlusconiano (che non è stato tale, ma per capirci), al decennio annunciato di Renzi, schiantatosi però dopo tre anni, ora sarebbe la volta di Matteo Salvini vestire i panni dell' uomo solo al comando. Che gli italiani evocano e idolatrano, salvo poi avversarlo e abbatterlo. «Salvini potrebbe durare anche parecchi anni se la flat tax dovesse far ripartire l' economia (eventualità che considero improbabile, ma non impossibile). Viceversa potrebbe subire un crollo se il suo avventurismo economico dovesse riprecipitarci in una crisi tipo quella del 2011, con l' investitura di Mario Draghi o di qualche - più o meno gloriosa - "riserva delle Repubblica"».