La Stampa, 29 maggio 2019
«Cosa spieremo nel buco nero»
La storia dell’immagine del buco nero inizia 41 anni fa a Meudon, alle porte di Parigi, sulla strada che porta a Versailles e con l’ausilio di un computer a schede perforate, di un pennino con inchiostro di china e di un foglio di carta trasparente. È qui, e con questi strumenti, che tra 1978 e 1979, Jean Pierre Luminet, allora giovane astrofisico, oggi direttore di ricerca in quell’osservatorio, ebbe l’idea e l’estro di lavorare per dare un’immagine coerente a uno degli oggetti per definizione più elusivi dell’Universo: i buchi neri. Oggi, davanti all’immagine dell’«Eht», l’«Event Horizon Telescope», quella storia merita di essere riportata alla luce.
«Ricordo - racconta Luminet - di aver fatto i calcoli di base con un vecchio computer Ibm con schede perforate». Per trasformare i numeri in immagini dovette ricorrere a tutto il suo estro. «Ho realizzato l’immagine finale a mano usando i risultati numerici: circa 10 mila punti con inchiostro nero su una grande carta trasparente!». In questo modo, per la prima volta, abbiamo avuto l’immagine di un buco nero che è rimasta valida fino al 10 aprile scorso, quando il mondo ha osservato l’immagine elaborata dai ricercatori dell’Eht. È stato un giorno importante per Luminet. «Ho provato un’emozione speciale: 40 anni fa non potevo immaginare che nella vita avrei visto l’immagine vera di un buco nero. Ma non è stata una grande sorpresa».
Perchè?
«Perché la teoria della Relatività generale aveva già dimostrato la sua validità (con le onde gravitazionali), in secondo luogo perché sapevo che i due buchi neri che erano oggetto dell’osservazione erano come quelli delle mie simulazioni. È stato uno shock da riconoscimento».
C’è una differenza tra la sua simulazione e l’immagine di «Eht»: da cosa dipende?
«Nell’immagine dell’Eht il disco di accrescimento intorno al buco nero M87 ci appare senza bordo, mentre in tutte le simulazioni, inclusa la mia, siamo abituati a vederlo. Uno dei motivi è che stiamo guardando M87 da una prospettiva polare. Quindi vediamo essenzialmente l’anello fotonico molto vicino all’orizzonte degli eventi, formato dai raggi di luce del disco di accrescimento fortemente deviato dalla curvatura, cioè l’immagine secondaria e non quella primaria».
Che tipo di informazioni abbiamo in più?
«Abbiamo, per esempio, la conferma che per M87 una massa di 6 miliardi di masse solari è confinata all’interno di un volume dello stesso ordine di quello dell’orizzonte degli eventi, così che l’ipotesi del buco nero è l’unica realmente coerente con i dati (sebbene alcuni modelli alternativi molto esotici non siano esclusi)».
Cosa potremmo vedere con immagini più dettagliate?
«Potremmo avere informazioni importanti sul momento angolare del buco nero. Come la maggior parte dei buchi neri, M87 è rotante, ma non abbiamo ancora un valore preciso del suo momento angolare. Un altro aspetto interessante su cui potremmo fare passi in avanti è legato al getto espulso dal buco nero».
Quali ulteriori scoperte dobbiamo attenderci?
«Per la comprensione di questi corpi celesti il passo più importante è stato appena fatto. Non sappiamo cosa succede all’interno e, quindi, la prossima frontiera sarebbe una svolta teorica nel campo della gravità quantistica. Ora ci sto lavorando, ma per questo sono abbastanza sicuro che non vedrò alcun risultato convincente (se ce ne sarà) nel resto della mia vita!».
Che legame c’è tra la rappresentazione cinematografica e la realtà?
«Spesso mi viene chiesto di esprimere la mia opinione sull’immagine di un disco di accrescimento del buco nero prodotto per il film “Interstellar”. Ha ignorato alcuni dettagli fondamentali. La forma geometrica è corretta, ma gli effetti relativistici non sono stati presi in considerazione. A mio avviso a causa del produttore, non del consulente Kip Thorne, che sa come stanno le cose».
Le illustrazioni degli artisti, invece, sono più attendibili?
«Sono diverse tra loro e mostrano diverse realtà, ma solo perché tutte sono sbagliate da un punto di vista fisico! Ci sono solo due tipi di buco nero: statico (“Soluzione di Schwarzschild”) e rotante (“Soluzione di Kerr”)».
Perché l’immagine ha suscitato così tanto clamore?
«Questi oggetti sono molto lontani e molto esotici, difficili da capire e non hanno alcuna influenza sulla vita quotidiana. Tuttavia molti ne sono affascinati perché evocano la fine di tutto e, forse, anche una sorta di risurrezione!».