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 2019  maggio 29 Mercoledì calendario

Il problema del cibo a domicilio in Cina

In Cina le principali app di food delivery – quelle che permettono di ordinare il cibo online per poi farselo recapitare – hanno totalizzato nel 2018 ricavi per l’equivalente di oltre 62 miliardi di euro, stando alla società di analisi iResearch (per farsi un’idea delle grandezze, nello stesso anno le corrispondenti app negli Stati Uniti hanno ricavato l’equivalente di 17 miliardi di euro). In tutto il mondo UberEats ha consegnato ordini per circa 7 miliardi di euro, mentre GrubHub, la più importante piattaforma americana del settore, ha ricavato 4,5 miliardi di euro con 159 milioni di ordini, ognuno del valore di circa 28 euro; nel 2017 i ricavi della britannica Deliveroo erano stati di 312 milioni di euro. Le app in Cina sono cresciute soprattutto grazie ai prezzi economici del cibo e della consegna, tanto che, scrive il New York Times, «si finisce per pensare che ordinare una singola tazza di caffè sia una cosa sensata e ragionevole». Meituan, che insieme a Ele.me di Alibaba è la piattaforma principale, dice di aver consegnato 6,4 miliardi di ordini nel 2018, il 60 per cento in più del 2017, per un totale di 38 miliardi di euro: un ordine costava in media 6 euro.


Questa «crescita astronomica» delle app di food delivery in Cina, scrive il New York Times, ha come conseguenza la necessità di smaltire una quantità spropositata di plastica – tra contenitori, bacchette, e sacchetti – che il paese non riesce a riciclare e che finiscono nelle discariche, bruciate con i rifiuti indifferenziati o nei mari. Secondo uno studio dell’Università di Shenzen e della University of Michigan, nel 2017 il mercato cinese del cibo a domicilio ha generato 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio, nove volte di più rispetto a due anni prima. Si parla di 1,2 milioni di tonnellate di contenitori di plastica, 175 mila tonnellate di bacchette usa e getta, 164 mila tonnellate di sacchetti di plastica e 44 mila tonnellate di cucchiai di plastica. Non ci sono ancora dati del 2018 ma le stime parlano di 2 milioni di tonnellate. Per dare un’idea, l’Unione Europea produce in tutto circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, di cui solo il 30 per cento al momento è riciclabile.


In Cina le persone producono meno plastica a testa degli americani, per esempio, ma circa tre quarti dei rifiuti di plastica cinesi non vengono riciclati e finiscono nelle discariche, nel mare e negli oceani. Secondo dati del governo, il paese ricicla infatti un quarto della plastica; negli Stati Uniti la percentuale scende al 10 per cento. Il problema con la plastica del food delivery è che non viene riciclata anche a causa della pigrizia di chi ordina, che non sciacqua le vaschette e non le getta nel bidone giusto. Un altro problema è che si tratta di rifiuti molto leggeri che fruttano troppo poco alle persone che raccolgono i rifiuti per venderli alle aziende di riciclaggio: uno di loro, Ren Yong, 40enne di Shanghai, ha spiegato al New York Times che ci vorrebbe «mezza giornata di lavoro per pochi spiccioli. Non vale la pena».


La Cina è responsabile di un quarto di tutta la plastica abbandonata al mondo. Nel 2015 il fiume Giallo scaricò nel mare 367.000 tonnellate di rifiuti di plastica, più di qualsiasi altro fiume al mondo e il doppio di quanti ne abbia trasportati il Gange in Bangladesh e in India. La Cina sta comunque cercando di migliorare il sistema del riciclaggio, anche se con molte contraddizioni. Di recente ha vietato l’importazione di rifiuti da altri paesi destinati al riciclo, spingendo le aziende locali a smaltire i rifiuti interni. Questo ha mandato in crisi un sistema parecchio redditizio e molti paesi, tra cui l’Italia, sono rimasti senza un posto dove portare i loro rifiuti per farli riciclare o incenerire. Alcune città statunitense hanno dovuto interrompere o restringere la raccolta differenziata, come Philadelphia, Memphis o Dentona.


A Pechino molti netturbini arrivati dalla campagna sono stati allontanati e convinti a ritornare nei loro paesi per «migliorare la qualità della popolazione in città». Inoltre per ripulire l’aria cittadina notoriamente inquinata, il governo ha chiuso centinaia di piccole aziende che lavoravano e riciclavano la plastica.