La Stampa, 29 maggio 2019
Antonio Decaro: «I buoni sindaci un modello. Il partito nei territori contro il disagio sociale»
Antonio Decaro, sindaco di Bari, è nato a Bari.
Nicola Zingaretti lo ha chiamato per complimentarsi alle prime proiezioni, ma davanti al plebiscito di voti e ai collaboratori che annunciavano «un miracolo» Antonio Decaro, sindaco dem rieletto a Bari con percentuale bulgara, ha cominciato a fare gli scongiuri. Il conteggio si è fermato al 66,2%, con uno scarto di quasi 30 punti rispetto alle liste, il Pd fermo alle Europee al 20,4% e il rivale di centrodestra Pasquale Di Rella incagliato al 23,6%. «Ma più che un miracolo è il riconoscimento a cinque anni di lavoro di una amministrazione che ha messo da parte slogan e polemiche cercando di risolvere i problemi anche più complessi. E i baresi l’hanno capito».
Sindaco, con questo risultato migliaia dei suoi elettori saranno di centrodestra...
«Sì, tantissimi. Li ho incontrati in queste ore. Li incontravo anche prima, mi dicevano: non sono della tua parte politica, ma voto per te. Da questo avevo capito che stava andando bene. Questa fiducia ti dà una responsabilità maggiore».
Bari, Lecce, Firenze, Bergamo: cosa accomuna le vittorie del centrosinistra?
«La buona amministrazione. I cittadini sanno distinguere, e se un sindaco ha lavorato bene è difficile che non gli riconfermino la loro fiducia».
Quello dei sindaci è un metodo riproducibile per tentare di riconquistare il governo?
«L’esperienza di molte amministrazioni di occuparsi dei più deboli, di andare sui territori dove c’è maggiore disagio economico e sociale può essere un esempio. Nel mio primo mandato ho aperto parchi, giardini, un ponte avveniristico, ma la cosa di cui vado più orgoglioso è aver cancellato la tendopoli in cui vivevano oltre cento senza fissa dimora, creando case di comunità dove tutti hanno la dignità di avere una stanza con un bagno».
Cosa ha determinato in questi ultimi anni la disaffezione verso il centrosinistra?
«Io credo che spesso noi cittadini cerchiamo una soluzione immediata: prima con Berlusconi poi con Renzi, Di Maio, e ora con Salvini. Si cerca qualcuno che dia soluzione ai problemi nel breve periodo, ma i problemi complessi hanno bisogno di lungo tempo. Stavolta hanno dato fiducia a una persona che ha cercato di imporre la sua idea, ha dettato l’agenda politica del Paese, ma prima o poi a chi governa vengono chieste risposte».
Non crede che Salvini possa sostenere le promesse fatte?
«Stanno cominciando già a chiedergli risposte come ministro. C’è un periodo in cui chi governa può dare la colpa a chi c’era prima, a noi sindaci non è concesso: io posso prendermela con l’immigrato, ma prima o poi se l’autobus non passa, se c’è una buca, se la prendono col sindaco. Io non posso usare slogan né demagogia».
Come sindaco cosa chiede al governo a trazione Salvini?
«Io sono anche presidente dell’Anci e stiamo chiedendo al governo di restituirci i nostri soldi. Il taglio a città metropolitane, province e comuni è terminato nel 2018, quindi nel 2019 devono ridarci 576 milioni di euro che non abbiamo ancora visto e per cui abbiamo fatto ricorso al Tar».
A l Sud la Lega avanza nonostante in passato abbia maltrattato i meridionali...
«Le percentuali aumentano, ma bisognerà capire come farà Salvini a conciliare la richiesta di autonomia differenziata con le esigenze del Sud: l’autonomia non può essere di tipo finanziario, o rischia di saltare un pezzo del Paese».
Il Pd ha riconfermato sostanzialmente i voti del 2018. Da dove deve ripartire?
«Le esperienze dipendono anche dalla legge elettorale, che oggi impone una coalizione: il Pd può allearsi con altri soggetti, uno può essere +Europa, se a sinistra si struttura un partito bisogna fare una coalizione, come ho fatto anch’io alle amministrative».
Bisogna allargarsi a destra o a sinistra?
«Non appartengo a quelli che dicono: si vince a destra o a sinistra. Si vince se si ha una idea, un progetto, se dai una speranza alla tua comunità».
Quali sono i temi su cui concentrarsi? Salvini coi migranti ha dettato l’agenda.
«Un finto problema. Fatti i conti, se si dividono 180-200mila migranti per 60 milioni di abitanti, sono tre ogni mille residenti. Il problema invece è cercare di parlare a una comunità di cura, non a una comunità rinserrata, dove aumenta la percezione della paura. La proposta del centrosinistra deve essere all’opposto: di persone che escono di casa, si tengono per mano e cercano di superare la percezione di insicurezza rispetto a chi quella paura la estremizza». —