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 2019  maggio 29 Mercoledì calendario

Il nonno rider

Lo dice con un pizzico di orgoglio: «Sono il nonno dei rider». E in effetti la chioma bianca di Vincenzo Fiorillo, 66 anni, spicca tra quella dei giovani fattorini di Palermo. Da un anno e mezzo, da quando ha smesso di fare il direttore di sala, lavora con Glovo, uno dei servizi di delivery più diffusi in Italia. «Mi sono dovuto reinventare per tirare avanti, aspettando la pensione che finalmente arriverà l’anno prossimo». Casco bianco in mano, occhiali da sole e jeans, Vincenzo guarda compulsivamente il suo smartphone, in attesa che un’applicazione gli assegni un ordine. Arriva a fare fino a 20 consegne al giorno, a bordo del suo scooter 50.
Signor Vincenzo, non si vede tutti i giorni un rider della sua età. Come è finito a fare il fattorino per una società di delivery?
«A volte le traiettorie del destino sono imprevedibili. Ho lavorato per una vita nel mondo della ristorazione, prima nell’attività della mia famiglia, poi in altri locali.
Nella mia carriera ho avuto il piacere di servire anche i presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Sono stato direttore di sala fino al 2016, quando ho appeso il grembiule al chiodo perché il rapporto con il mio datore di lavoro si era incrinato. Mi sono dovuto reinventare, in attesa della pensione. La legge Fornero non mi ha aiutato, sarei già dovuto essere a riposo da qualche anno».
Perché ha scelto proprio questo lavoro?
«Non è che alla mia età ci sia molta scelta. È dura trovare qualcuno che ti assuma a 60 e passa anni. Una mia amica, in crisi anche lei, mi ha parlato dell’opportunità che dava una società di delivery. Mi sono informato, ho fatto un mini corso e ho iniziato la mia nuova vita nell’ottobre di due anni fa. Non mi è andata male, ho uno stipendio. Avevo pure presentato la domanda per il reddito di cittadinanza, ma essendo single, con l’indennità di disoccupazione e qualche mese di guadagni ottenuti dal mio nuovo lavoro, sono rimasto fuori dal provvedimento. Però, forse è stata una fortuna: così mi tengo vivo».
Le piace fare il rider?
«Mi piace la flessibilità di questo lavoro. Dipende da me se correre per 13 ore, come fanno molti ragazzi, o se fare consegne per una e riposarmi per il resto della giornata. Dall’altro lato, però, siamo senza tutele. Lo scooter è mio, lo smartphone è mio, se piove e voglio portare a casa qualcosa, l’acqua la prendo io. Mi sono dovuto aprire pure la partita Iva».
Qual è la sua giornata tipo?
«Inizio a lavorare intorno alle 10 del mattino e vado avanti fino alle 20: 10 ore tonde penso siano sufficienti. Il venerdì e il sabato, quando ci sono più ordini, giro fino alle 22, ma la domenica mi riposo tutto il giorno: faccio soltanto tre ore di sera».
Quante consegne riesce ad eseguire?
«Ogni giorno è diverso. Mediamente riesco a farne tra le 10 e le 20, non è male. Porto fiori, cibo, documenti. Certo, i ragazzi sono più veloci e arrivano a portarne a termine fino a 30, a quest’età i riflessi sono più lenti».
Chi sono i suoi colleghi?
«Sono soprattutto giovani di 20-30 anni che, in attesa di un lavoro migliore, portano a casa qualcosa con questa attività, o studenti che nei ritagli di tempo si pagano gli studi consegnando il cibo a domicilio. C’è chi arrotonda e chi ci mantiene le famiglie, qualcuno riesce pure a guadagnare bene, girando tanto. L’unica certezza è che io sono il più anziano».
Soffre la concorrenza dei ragazzi?
«Ma no, c’è lavoro per tutti. Soffro di più la pioggia, quando viene giù, non è bello andare dalla gente fradicio e tornare a casa inzuppato. E poi che fatica camminare nel traffico e sull’asfalto pieno di buche di Palermo».
Quanto riesce a portare a casa?
«È difficile dare una cifra precisa. Prendo 4 euro di fisso al giorno e poi percepisco dai 3 ai 6 euro lordi per ogni consegna, in base ai chilometri percorsi, all’attesa e a una serie di bonus. A questi vanno tolte le spese quotidiane per la benzina, circa 3 euro, e il tagliando che faccio ogni mese al mio scooter. Però, con i soldi che guadagno con questo lavoro riesco a vivere e a stare tranquillo».
Sembra soddisfatto.
«Lo sono. Fare il driver mi permette di non stare chiuso a casa ed essere in contatto con tanti ragazzi. Ai giovani do spesso dei consigli, non sempre mi ascoltano, però mi vogliono bene: mi chiamano zio, ma io mi sento il loro nonno saggio».
Avrebbe mai pensato di fare questo lavoro?
«No. Il mondo in cui viviamo, fino a qualche anno fa, non era neanche minimamente immaginabile. Ma sono orgoglioso di avere avuto la capacità di adattamento, qualità che a molti manca. Uso alla perfezione l’applicazione che abbiamo sullo smartphone per ricevere gli ordini e terminare le consegne, mi muovo grazie alle indicazioni di Google Maps per non perdermi nella città».
Non è stanco?
«Non tanto. Più che la stanchezza soffro l’ansia del traffico. E poi l’obiettivo non è così lontano: il 1° ottobre del 2020 vado in pensione».