il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2019
Le vane battaglie contro i furbetti del cartellino
Sono giorni decisivi per la Pubblica amministrazione. La prossima settimana si attende l’approvazione del ddl Concretezza, voluto dalla ministra Giulia Bongiorno, che contiene il giro di vite contro i furbetti del cartellino. Una guerra dichiarata 10 anni fa da Renato Brunetta, poi proseguita da Marianna Madia e ora dalla ministra in quota Lega. Che, in accordo con il ministero dell’Economia, ha ideato un fondo di 35 milioni di euro per il controllo delle presenze dei dipendenti pubblici, attraverso sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza. Al posto del badge si passerà così alle impronte digitali e al controllo dell’iride. Ma il rischio è che sia un buco nell’acqua.
A dirlo sono i dati pubblicati dal 2013 dal dipartimento della Funzione, anno in cui i licenziamenti furono 199, di cui 80 relativi alle assenze dal servizio. Nel 2014 84 su 227; l’anno successivo 108 su 280. Nel frattempo, con la riforma Madia, si è introdotta la sospensione dei furbetti del cartellino entro 48 ore e il licenziamento dopo 30 giorni. Poi, a partire dal 2016, quando nella lista dei provvedimenti di licenziamento è stata inserita la voce “derivanti da falsa attestazione della presenza in servizio”, si è passato a 31 statali allontanati, mentre 113 sono stati gli “assenti ingiustificati” su un totale di 344 provvedimenti. Nel 2017 i furbetti licenziati sono stati 55, da sommare ai 99 assenti su un totale di 324. Lo scorso anno su 384 licenziamenti, 196 lo sono stati per assenza dal servizio. E di questi, 55 colti in flagrante per falsa attestazione della presenza. Ovvero lo 0,001% dei 3,2 milioni di impiegati statali.
Insomma, negli ultimi 5 anni i dipendenti pubblici licenziati per assenza sono stati solo 766. Tanto che a febbraio scorso, il procuratore generale della Corte dei Conti, Alberto Avoli, ha sottolineato che “si sono susseguite normative sempre più stringenti, ma i risultati non sono stati pari alle aspettative”. “Una Pubblica amministrazione che agisce solo in chiave difensiva – ha detto – rischia di aggravare il suo peso negativo”. Criticità sono state rilevate anche dal presidente del garante della Privacy Antonello Soro. Anche se il suo parere sul ddl non è vincolante, ha evidenziato che “non può ritenersi in alcun modo conforme al canone di proporzionalità, per l’invasività di tali forme di verifica”. Ma la Bongiorno ha, comunque, assicurato che “i dati verranno trasformati in algoritmo e che non lederanno la privacy”. Anche se Soro non ha ritenuto il dato numerico “sintomatico della pervasività generale del fenomeno”. L’assenteismo nella Pa c’è, ma non resta impunito.
Altra cosa è il clamore mediatico. Tra gli ultimi furbetti del cartellino finiti alla ribalta nazionale ci sono il comandante della Forestale in Valle d’Aosta, i dipendenti comunali di Torino, quelli dell’Asl di Foggia. Nord o Sud, fa lo stesso. I controlli ci sono già. Li realizza l’Ispettorato per la Funzione pubblica. Ma alla ministra non basta. Il ddl, infatti, prevede anche un Nucleo per la Concretezza, che avrà il compito di verificare l’attuazione delle disposizioni ministeriali. “Rappresenta una duplicazione, uno spreco delle risorse pubbliche censurabile dalla Corte dei Conti”, ha scritto su Ipsoa Alessandra Servidori, esperta in politiche del welfare.
Sul piede di guerra ci sono anche i sindacati. La segretaria della Cgil Fp, Serena Sorrentino, avverte: “Non è vero che nella Pa non si licenzia e non è vero che non ci sono sanzioni disciplinari. Sembra solo propaganda e davvero poca concretezza”. Attualmente ci sono badge che memorizzano le impronte digitali solo presso la Difesa, i Carabinieri e i Vigili del Fuoco. Categorie che non rientrano nelle misure del ddl. Sono escluse anche l’avvocatura di Stato, i magistrati, i docenti universitari e gli insegnanti. Nel mirino, invece, ci sono i presidi. Paolino Marotta, presidente dell’associazione nazionale dei dirigenti scolastici, è sconcertato: “Non ci sono tra noi casi di indagati o condannati per assenteismo – spiega – siamo in 7 mila e abbiamo mediamente dai 10 ai 20 plessi da dirigere. Ci umilierà davanti agli studenti”. Ma la Bongiorno punta al controllo. Col rischio che sia la Corte costituzionale a vanificare i suoi piani.