ItaliaOggi, 29 maggio 2019
Periscopio
Rimettere in ordine tutte le parole d’ordine. Dino Basili. Uffa news.Non mi piaceva Crozza quando mi imitava: era grosso e grasso. Non mi assomigliava. Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia. (Candida Morvillo). Corsera.
Gianluigi Gabetti ebbe un rapporto buono con Carlo De Benedetti, guardingo con Enrico Cuccia, complicato con Cesare Romiti, cui non perdonava nulla, neanche essere rimasto in piedi a gambe spalancate al funerale dell’Avvocato, «con la moglie di Paolo Fresco che gli chiedeva di spostarsi». Aldo Cazzullo. Corsera.
Rinnegato, mi chiamò Marco Bellocchio. Eravamo in uno studio televisivo. Io facevo le domande, lui doveva rispondere. Gli chiesi, visto il suo coinvolgimento nel Sessantotto, se c’era niente di quel periodo che avrebbe messo in discussione. Poteva darmi una risposta meditata. Glissare. Scelse l’insulto: meglio aver partecipato a quei cortei piuttosto che essere diventato un rinnegato. Era evidente l’allusione a me. Giampiero Mughini (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Agli esteri, prima del referendum che ha scalzato Renzi, era in carica il conte Paolo Gentiloni, pronipote dell’artefice del patto omonimo che, per nostra disgrazia, autorizzò i cattolici a votare, ma solo per i candidati credenti e militanti. Il generone capitolino esultò. Finalmente un aristocratico, come ai bei tempi. Roberto Gervaso, Come stanno le cose. Mondadori, 2017.
La questione degli immigrati è molto semplice: il Pd, in cambio di una bella concessione per dare la mancetta elettorale di 80 euro a chi già lavorava, si era impegnato a trasformare l’Italia in un campo profughi. Poi è intervenuto Minniti perché gli stava sfuggendo di mano mezzo Mediterraneo, nell’indifferenza più assoluta. Adesso noi pentastellati passiamo per razzisti... e no, questa è una tragica giostra, ma bisogna starci sopra fino in fondo! Io non ho capito se la gente si è resa conto del casino in cui ci hanno cacciato Renzi, Minniti e gli altri menomati morali. Beppe Grillo, comico. (Pasquale Elia). 7.
Quando penso a mio padre, Enzo Biagi, lo vedo sorridente, nella sua casa di campagna, seduto sotto il portico. Bice Biagi, giornalista, figlia di Enzo. (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Adoro il romanziere francese Michel Houellebecq. Ho letto tutto di lui. Non ho ancora letto il suo ultimo romanzo che non è ancora stato tradotto in inglese. Houellebecq è, senza dubbio, il mio scrittore europeo preferito. Bret Easton Ellis, romanziere americano. (Erich Neuoff). Le Figaro.
Fausto Coppi scalando l’Abetone nel suo primo Giro d’Italia, quello del 1940 fece scrivere al leggendario Orio Vergani questa cosa: «Fu allora, sotto la pioggia che veniva giù mescolata alla grandine, che io vidi venire al mondo Coppi. Vedevo qualcosa di nuovo: aquila, rondine, alcione, non saprei come dire, che sotto alla frusta della pioggia e al tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le gambe che bilanciavano nelle curve, le ginocchia magre che giravano implacabili, come ignorando la fatica, volava, letteralmente volava su per le dure scale del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse e come chiamarlo». Gianni Mura. il Venerdì.
Leonardo imparava guardando, e facendo. E ogni tanto sbagliava? Sperimentava nuovi i colori ne L’Ultima Cena con un risultato diverso da quello che voleva ottenere. Faceva errori di proporzioni, come ne L’Uomo vitruviano, o nella distorsione ottica attraverso la sfera del Salvator Mundi. Non importa. Ci vuole coraggio per sbagliare. Gli errori sono qualcosa di fisiologico sul cammino della creazione. All’inizio le idee sono come un lampo che affiora nella mente, un fantasma che si affaccia e di cui spesso si diffida. Renzo Piano, architetto. (Anai Ginori). la Repubblica.
Il Giornale andava abbastanza bene quando esordì il nuovo quotidiano fondato da Montanelli, la Voce, che vendette subito la bellezza di 500 mila copie. Tuttavia, io ero tranquillo. Avevo studiato bene quel giornale e lo vedevo brutto. Non avevo nessuno timore. Sapevo che la Voce sarebbe stata una meteora. Scintillante all’inizio e dalla vita breve. Infatti durò solo un anno. Da 115 mila copie a gennaio ’94, il Giornale superò le 200 mila copie a fine luglio. Indro mi portò via una cinquantina di giornalisti, tra cui Beppe Severgnini (sebbene di lui, Montanelli mi dicesse «Beppe è soltanto cipria»), Marco Travaglio, Mario Cervi e tanti altri. Vittorio Feltri, Il borghese. Mondadori, 2018.
Il giorno dell’insediamento, durante il cosiddetto discorso della corona con il quale si presenta alla redazione, il direttore si lascia sempre scappare una promessa: «La mia porta è sempre aperta». Ma poi se ne pente, e comincia a tenerla chiusa, se non altro per legittima difesa. Michele Brambilla, Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista. Piemme. 2008.
Mi viene in mente un bambino che trascinava per il cortile il suo cane morto, e si lamentava perché voleva giocare ancora, non aveva finito, e lo pregava di smettere di morire. Ferdinando Camon, Un altare per la madre. Garzanti, 1978.
L’unica cosa buona che l’Ettore (Muti ndt) ha fatto in dodici mesi di segreteria del partito fascista è quella di aver dato argomento alla più spiritosa storiella dell’anno. Ti ricordi il telegramma al Capo quando venne nominato all’alta carica? «Duce, farò degli italiani come Voi li volete. Muti». Luigi Preti, Giovinezza, Giovinezza. Mondadori, 1964.
Su questo pontile che arriva dentro al mare, in pomeridiana stanchezza, miro l’alga mossa di filamenti tra onda e roccia, dove minuti pesci luccicanti boccheggiano. Non grevi indigeni, tantomeno turisti: ma solo il lento tramonto e dal mare il residuo silenzio e la brezza che dà ai gabbiani le loro cosi lunghe pacificate spirali. Geminello Alvi, Ai padri perdòno. Mondadori. 2003.
La pianura è un mare dove le onde del tempo si succedono e si annullano, evento dopo evento, secolo dopo secolo: migrazioni, invasioni, epidemie, carestie, guerre, vengono ricordate soltanto perchè sono scritte nei libri; se non ci fosse la scrittura non ne resterebbe traccia. Sebastiano Vassalli, La Chimera. Rizzoli, 2014.
I normanni in Sicilia godono di un prestigio indiscusso, e non da oggi, se è vero che, incapaci come erano di costruire in proprio, sono riusciti a farsi addebitare, in coproduzione, alcuni fra i più bei monumenti di Palermo edificati sotto il loro dominio con criteri, gusto, scienza e tecnica esclusivamente arabi e bizantini. Saverio Vertone, Viaggi in Italia. Rizzoli, 1988.
Non c’è peggior moralismo di quello del cinico. Roberto Gervaso. Il Messaggero.