Libero, 28 maggio 2019
Rita Levi-Montalcini e Renato Dulbecco, una lunga storia di amicizia e di amore
Renato Dulbecco (1914-2012), biologo, medico e Nobel per la Medicina (1975), è nato a Catanzaro.
Certe esistenze sono come binari paralleli: corrono nella stessa direzione e, secondo i principi della geometria, non dovrebbero mai toccarsi. Ma la vita è capace di ribaltare tutti i teoremi, anche se di mezzo ci sono due scienziati da Nobel come Rita Levi-Montalcini e Renato Dulbecco. La loro è la storia di un profondo legame nato il primo giorno alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino – lei poco più che ventenne e lui appena sedicenne – e durato tutta la vita. Hanno camminato verso il futuro seguendo la medesima strada, spinti dalla passione per la conoscenza. Si sono trovati e non si sono più persi, hanno vissuto e sono invecchiati portandosi l’un l’altra nel cuore. Un amore rimasto sottotraccia come un fiume carsico che ha irrorato le loro vite fino alla fine. La prima biografia completa scritta dalla giornalista Carola Vai dal titolo Rita Levi-Montalcini. Una donna libera (Rubbettino, 311 pagg. euro 18) racconta la neurologa che ha scoperto la molecola della vita e che per anni ha studiato il cervello, una delle primissime donne a laurearsi in Medicina, poi diventata premio Nobel, e la prima a entrare nella Pontificia accademia delle scienze. Poi gli studi in America, le conferenze in tutto il mondo, le lauree honoris causa, lo scranno di senatrice a vita. Ma tra le pagine di questo libro, ricco di aneddoti e riferimenti storici, prende vita anche una donna che amava i tacchi alti, i vestiti eleganti e i gioielli raffinati che lei stessa si divertiva a disegnare. L’INFANZIA FELICE Una studiosa che non ha mai mortificato la sua femminilità, anzi ha continuato ad esaltarla fino alla fine dei suoi giorni. La biografia di Rita attraversa un secolo di storia, dai primi anni del Novecento quando lei, bambina, legatissima alla gemella Paola, viveva spensierata con il fratello Gino e l’altra sorella Anna nel castello di famiglia. L’ammirazione per la mamma Adele che era arrivata alle nozze col sogno di diventare pittrice e l’ostilità verso suo padre Adamo che, subito dopo il matrimonio, mise le cose in chiaro: «Una moglie non fa la pittrice». Adele obbedì e soffocò la sua passione. Rita in quegli anni maturò l’ostinata idea che mai nessuno – né un padre, tantomeno un fidanzato o un marito – le avrebbe impedito di fare ciò che sentiva giusto per sé. Quando aveva 20 anni, assistette alla morte per cancro della sua tata Giovanna. Fu nel buio di quel dolore che decise di diventare medico. Si iscrisse all’Università contro il volere di suo padre, era una delle cinque donne a seguire le lezioni. Proprio durante un corso di studi Rita incontrò il suo primo fidanzato Germano Rondolino che poi morì di tubercolosi mentre lei era scappata in Belgio. Con l’arrivo delle leggi razziali, come tanti ebrei, la studentessa fu costretta a interrompere gli studi per rifugiarsi a Bruxelles. Tornata in Italia allestì un piccolo laboratorio nella sua camera per poter continuare le proprie ricerche. Di sé diceva sempre di non essere particolarmente intelligente ma di aver raggiunto tutti i traguardi grazie alla sua tenacia, ed è proprio questa determinazione che la portò nel 1947 in America per un incarico alla Washington University. Una scelta tormentata perché non avrebbe voluto lasciare sua sorella e sua madre, ma alla fine decise di accettare e si imbarcò per New York. Ma non era sola: aveva convinto Renato Dulbecco a seguirla. «Lui aveva 33 anni, era bello, affascinante, con un’euforia in parte velata dalla preoccupazione di lasciare a Torino la moglie e due figli piccoli e dall’incognita che lo attendeva oltreoceano», scrive Vai. Poco dopo Pinuccia, la moglie di Dulbecco, lo raggiunse in America. Rita ha più volte confessato di avere molto amato; nondimeno non arrivò mai alle nozze. «Forse a indurla definitivamente alla decisione fu anche l’inconfessabile sentimento verso il brillante collega», si legge nel libro. SUCCESSI CONTINUI Lei stessa in diverse situazioni affermò: «Sono stata innamorata e sono stata pure molto felice ma non è necessario sposarsi». La scienziata non rivelò mai i nomi degli uomini a cui fu legata. E quando, anche attorno ai 90 anni, le arrivava l’eco di pettegolezzi su una presunta relazione tra lei e Dulbecco, rispondeva con ironia: «Renato innamorato di me? Si diceva, ma non credo». Un amore mai dichiarato ma nemmeno negato. Una relazione fatta di ore passate in laboratorio, progetti comuni, studi condivisi. «Insieme i due scienziati si sentivano in armonia. Lui dimenticava la timidezza. Ogni argomento poteva trasformarsi in una piacevole conversazione. Ore insieme e mai un attimo di distrazione. Ore insieme senza sentire la stanchezza. Lavorare, discutere, passeggiare, ascoltare la musica, stare con gli amici, rimanere loro due soli. Un rapporto speciale, ineguagliabile. Tante confidenze, mai una parola di possesso. Nessuno dei due aveva voluto impadronirsi del futuro dell’altro». Rita e Renato sono rimasti insieme senza mai essere stati una coppia come le altre. Dulbecco divorziò e si risposò con una ragazza scozzese più giovane di 24 anni ed ebbe una figlia. Ma le nuove nozze non impedirono allo scienziato gentiluomo di continuare a vedere e sentire Rita. I due rimasero uniti pure nella distanza: la Levi-Montalcini tornò in Italia, Renato visse sempre in America. Quando lui vinse il Nobel nel 1975, Rita non ne fu sorpresa: semplicemente se lo aspettava. Lo stesso fu per lui quando il premio andò alla Montalcini. Un rincorrersi continuo per ritrovarsi senza essersi mai persi. Ammirazione, stima, attrazione. A dividerli era solo il rapporto con la vecchiaia. Renato non voleva allungare la vita, ma avrebbe voluto un’eterna giovinezza, non sopportava l’idea di perdere vigore fisico e non accettava che il suo corpo si accartocciasse. Per Rita contava solo che il cervello non sentisse il peso degli anni. Il 20 febbraio del 2012 arrivò la notizia della morte di Dulbecco colpito da infarto nella sua casa a La Jolla, in California. Mancavano tre giorni ai suoi 98 anni. Rita fece solo un ultimo, faticoso, pezzo di strada da sola. Dopo dieci mesi si spense lentamente, come la fiamma di una candela. Aveva 103 anni. riproduzione riservata