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 2019  maggio 28 Martedì calendario

In politica due più due non fa mai quattro ma tre, cinque, centottanta Per questo nessuno mai ammette di aver perso in qualsiasi elezione

Parlare è facile. Difatti parlano tutti, sondaggisti, candidati, popolino, e quasi sempre con lingua biforcuta nell’illusione di dirottare chissà cosa, di influire chissà come. Poi però arrivano i numeri, e su quelli parrebbe impossibile discutere ancora. E invece continuano a parlare, in politica due più due non fa mai quattro ma tre, cinque, centottanta.Sta di fatto che le cose stanno come stanno: la flessione della Lega l’avevano vista (e sarebbe da chiedersi come mai) solo i sondaggisti, quella dei grillini non c’è stata perché se mai è uno sprofondo, il partito di Berlusconi ormai rispecchia il padrone, la sinistra dovrebbe ringraziare san Lenin d’aver tenuto in apparenza, anche se, per meccanismi legati al computo totale dei voti, ha perso un’altra vagonata di consensi. Eppure, eccoli lì: tronfi e spocchiosi come da migliore tradizione, convinti, col loro 22%, di avere stravinto, di essere l’unica «forza» legittimata a comandare in Italia in Europa nel mondo. Il Pd insieme a quel rottame del radicalismo convertito in euroservilismo.
Parlare è facile, e facilmente parlano. Il tono è sempre lo stesso, aggressivo, violento, minaccioso nel nome dell’umanità e della solidarietà. Loro, la «parte sana» della nazione, loro, i migliori, competenti, bennati, non rinunciano all’afflato ideologico: la riscossa parte da qui, il paese è becero, fa schifo, vota «quei nazisti della Lega» ma siamo pronti a rieducarli, ci spetta, chi se non noi, coi nostri attivi vista Battistero o Colosseo, coi nostri successi di cartapesta? Come la cantante Fiorella Mannoia, che per bieche ragioni di mercato elettorale torna ad accreditarsi come «donna di sinistra», la pura e vera sinistra che nessuno ha mai capito quale sia, accusando la medesima sinistra di averla indotta a tradimento. Questioni di egolatrismo infantile, pur nell’abbondante età della ragione.
Questi non imparano mai. Più ricevono bastonate e più restano chi sono. Sussiegosi fino alla paranoia, infastiditi fino alla schizofrenia, dal popolaccio che dicono di amare (le «classi subalterne», come le definisce Gad Lerner). Essersi profusi in tracotanza, in supponenza, in disprezzo, non è servito: insistono. Il controrazzismo per cui un migrante ha sempre ragione e merita tutti i diritti che a un italiano vengono preclusi, si è confermato deleterio (perché irragionevole): insistono.
La violenza da «restiamo umani», da centro sociale okkupato, è controproducente: persistono, bastino certi messaggi su Twitter: una apostrofa le «donne di destra» come prostitute che «debbono finire in casino, come vuole Salvini, almeno avranno qualcosa da fare»; un altro si abbandona a una litania delirante: Salvini boia, Salvini appeso a testa in giù, Salvini trucidato, Salvini in piazza Loreto.
La demonizzazione dell’avversario, degradato a sottouomo, a non uomo, in ossequio perenne all’«io ti schiaccerò» di Marx, è un clamoroso autogol: avanti, con più fame che pria. Colpevolizzare chiunque voti altro che la loro fazione è patetico, non fa più presa: moltiplicano la demonizzazione, affidandosi ai media dell’egemonismo gramsciano. Definirsi, a chissà quale titolo, i buoni e i migliori, atteggiandosi a infastiditi signorotti di una società ingrata, che si finge di disprezzare ma della quale si colgono tutte le opportunità, ha irritato oltre ogni limite: si conclamano in quell’atteggiamento.
Idolatrare una odiosa sciocchina con le trecce, profetessa di sciagure, rifiutando di constatare che la realtà climatica spinge esattamente nel senso opposto, è stupido: ma azzannano chi si permette di avere freddo se fa freddo, di aprire l’ombrello se diluvia. Fissarsi sugli orientamenti sessuali è pretestuoso: le usano per discriminare oltre ogni logica. Ostacolare i simboli religiosi locali, perfino al cimitero, è offensivo: irridono chi si ribella. Imporre gusti, abitudini, scelte, diete, consumi, è allucinante: eccolì lì, scatenati come non mai.
La genuflessione davanti agli insopportabili faretti culturali che di colto hanno poco e niente, e invece tutto di fazioso, di militante, di interessato, di incoerente, quali i Saviano, le Murgia, la compagnia di giro dei registi e cantanti e imbrattacarte e farfallini organici, è assurda: continuano con le loro meste e grottesche processioni.
La lettura della realtà a senso unico, con le lenti di una ideologia ammuffita, è priva di senso: da bravi soldatini ideologici, si rinserrano in quell’ideologia ottocentesca, se poi la realtà non torna, peggio per la realtà.
Parlare è facile. Incolpare chi ha vinto perché ha vinto, sputare su chi ha votato nel modo «sbagliato, razzista, fascista», lo è anche di più. Ostinarsi nel vittimismo degli incompresi è una sirena irresistibile. Odiare e irridere dietro la parvenza dell’umanità e del rispetto è un attimo: fisiologico se si è cresciuti nella logica della contrapposizione, noi da una parte, il resto del mondo rozzo e maleodorante dall’altra. Credere che prima o poi il sol dell’avvenire trionferà, perché è scritto nelle stelle e nel determinismo storico, è l’unica cosa che resta. Insieme alla solita possibilità: allearsi con chi fino a ieri disprezzavano e li disprezzava, perché tutto serve per far trionfare il «bene», a qualsiasi costo e prezzo. Il bene loro, ovvio.